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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2012 alle ore 10:03.

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I quattro presidenti delle principali istituzioni europee (Commissione europea, Consiglio europeo, Banca centrale europea ed Eurogruppo) si trovano di fronte a un dilemma cruciale: l'Eurozona ha davvero bisogno di un proprio bilancio?

Il motivo al centro del dibattito è che l'unione monetaria degli Stati Uniti funziona molto meglio, perché a ridurre l'impatto degli shock asimmetrici, cioè gli shock dei singoli Stati, interviene un bilancio federale di ingenti dimensioni. Secondo i sostenitori di questa tesi, la Zona euro dovrebbe avere un proprio bilancio per essere in grado di fornire altrettante garanzie ai suoi membri.
Questa tesi, però, travisa l'esperienza statunitense. È vero che negli Stati Uniti, come nella maggior parte degli Stati federali esistenti, il bilancio federale ridistribuisce il reddito tra le regioni, andando così a compensare almeno in parte i dislivelli di reddito a livello interregionale. Tuttavia, pur se questo aspetto è stato ripetutamente documentato, dedurre che la redistribuzione equivalga a un ammortizzatore è sbagliato.

Negli Stati Uniti il bilancio federale compensa una quota sostanziale, stimata intorno al 30-40%, delle differenze nei livelli di reddito pro capite tra gli Stati, perché in media quelli più poveri contribuiscono meno in termini di gettito fiscale, mentre ricevono trasferimenti più consistenti. Questo non implica, però, che tali meccanismi forniscano anche un'assicurazione contro gli shock, cioè le improvvise variazioni di reddito a livello dei singoli Stati. Molti dei trasferimenti del governo federale - in particolare il sostegno sociale di base, come i buoni alimentari – variano di poco in base al ciclo economico locale.
Sul versante delle entrate, la misura in cui la tassazione federale assorbe gli shock a livello statale non può essere molto ampia per la semplice ragione che la principale fonte di entrate che reagisce al ciclo economico, cioè l'imposta federale sul reddito, rappresenta meno del 10% del Pil.
La scarsa sensibilità delle spese e delle entrate federali alle condizioni del ciclo economico locale spiega perché soltanto una piccola parte di shock del Pil del singolo Stato, stimata intorno al 10-15%, sia assorbita mediante trasferimenti automatici da e verso il bilancio federale degli Stati Uniti.

Una proposta lanciata più volte in Europa riguarda la creazione di un fondo assicurativo a livello europeo, o almeno dell'Eurozona, contro la disoccupazione. A prima vista l'idea appare interessante, ma anche qui il riferimento all'esperienza americana risulta fuorviante.
Negli Stati Uniti l'assicurazione contro la disoccupazione è organizzata a livello statale. Il governo federale interviene solo in caso di gravi recessioni a livello nazionale ed eroga sussidi supplementari per i disoccupati di lunga durata. Questo sostegno viene però fornito a tutti gli Stati e, pertanto, non offre a quelli più colpiti un supporto molto maggiore rispetto agli altri. Inoltre i sussidi di disoccupazione incidono meno di quanto spesso si pensi. Nella maggior parte dei Paesi ammontano al 2-3% del Pil soltanto, anche in periodi di grave recessione. Negli ultimi anni la spesa supplementare negli Stati Uniti è stata dell'1% del Pil. È quindi evidente che, per quanto riguarda la Zona euro, un sistema di assicurazione contro la disoccupazione non riuscirebbe mai a compensare shock di una certa entità, come quelli che hanno colpito l'Irlanda o la Grecia, dove il Pil si è ridotto di oltre il 10 per cento.

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