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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2013 alle ore 07:41.

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La decisione della Banca del Giappone di allentare il controllo su inflazione e moneta può avere conseguenze importanti anche per l'Europa e l'Italia. Ad accorgersene per primo è stato il capo della Bundesbank, Jens Weidmann. Questa volta infatti non è per ipocondria che Weidmann ha visto oscure minacce all'indipendenza delle banche centrali dietro la mossa di Tokyo.

O per lo meno non è per quel tipo di ipocondria nazionalista che aveva spinto la Bundesbank a inscenare nei giorni scorsi il teatrale rimpatrio di 674 tonnellate di riserve d'oro da sempre depositate a Parigi o a New York e ora messe ben al sicuro a Francoforte. A differenza della Bundesbank, infatti, la Bce non potrà osservare con distacco il fatto che la Banca del Giappone abbia seguito la strada della Federal Reserve americana.
Tokyo ha annunciato un aumento del target di inflazione e un ampio programma di acquisto di titoli pubblici. Quello che teme Weidmann è proprio che si instauri una competizione tra banche centrali, preda dei governi, a stimolare le economie nazionali e che questo alla fine costringa la Banca centrale europea – che pure non ha un mandato esplicito a evitare un letale apprezzamento dell'euro - a varare anch'essa un programma di allentamento quantitativo. Un'eresia che avrebbe il "danno" collaterale di risolvere i problemi dell'area euro, ma solo al costo di allentare la pressione sui governi europei alle riforme strutturali e alla disciplina di bilancio, potenzialmente rinviando il risanamento dell'eurozona alla prossima crisi e per estrema beffa al costo di un rischio di inflazione futura nelle economie più forti come la Germania.

Questa volta la paura di Weidmann non è immaginaria. L'ipotesi di una guerra valutaria è discussa da mesi, benché in realtà dal 2008, da quando è scoppiata la crisi finanziaria globale, i governatori del G-20 siano riusciti a mantenere i rapporti tra le valute sorprendentemente stabili. Congelando gli equilibri pre-crisi hanno però mantenuto inalterati anche gli squilibri tra le grandi aree valutarie che si erano accumulati. Se di recente i conti con l'estero sono apparsi meno sbilanciati era spesso per la ragione sbagliata: la depressione in parte dell'Europa o l'aumento degli investimenti interni cinesi (cresciuti ancor più del risparmio). Senza cioè che si rimettesse in moto una crescita equilibrata dell'economia mondiale.
A distanza di anni gli squilibri commerciali, accentuati dal mancato adeguamento delle valute, stanno creando problemi strutturali in molti Paesi, dagli Stati Uniti all'Italia, in cui la disoccupazione, ormai stratificatasi, non riesce a diminuire. Mentre gli Usa hanno reagito dando mandato alla Fed di considerare l'occupazione nella propria funzione obiettivo, l'Italia ha minore controllo sulle leve di politica economica.

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