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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2013 alle ore 12:44.

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Cipro o Europa: la caccia al vero colpevole della nuova bufera che settimana prossima, alla riapertura delle banche a Nicosia, rischia di investire l'euro potrebbe sembrare un esercizio sterile. Una perdita di tempo.
Non lo è.

Perché in questo caso l'individuazione delle responsabilità non serve a distribuire pagelle ma a cercare di capire come il club della moneta unica potrà restare insieme dopo che è riuscito, per ben due volte consecutive, a trasformare una tempesta in un bicchier d'acqua in un alluvione. Con l'inventario dei danni collaterali ancora tutto da calcolare.
Più o meno un anno fa il rischio di fallimento della Grecia ha rotto il tabù degli «haircut» bancari, saldando la crisi del debito sovrano con quella degli istituti di credito che ne detenevano i titoli. Il problema resta pericolosamente aperto: complici le forti resistenze tedesche (e nordiche) né il progetto di unione bancaria che arranca molto a rilento né la ricapitalizzazione diretta delle banche da parte dell'Esm, che fa altrettanto, sono finora riusciti a metterci una pezza.
Ora la prospettiva della bancarotta a Cipro ha travolto altri due tabù della cultura europea in un colpo solo, facendo saltare tanto le norme che garantiscono in Europa la sicurezza dei depositi bancari fino a 100 mila euro quanto il principio della libera circolazione dei capitali nell'Unione, una delle quattro architravi del mercato unico.
Racconta chi c'era nelle stanze dell'ultimo Eurogruppo che, all'alba di sabato quando a Bruxelles fu raggiunto lo sciagurato accordo sul salvataggio di Cipro, Wolfgang Schauble fosse molto soddisfatto. «E' un accordo ottimo, un'idea perfetta, proprio quello che ci serve», andava ripetendo il ministro delle Finanze tedesco, sicuro che quell'intesa così come era stata concepita sarebbe piaciuta molto all'elettorato tedesco, avaro di aiuti e chiamato in settembre a decidere se rieleggere o no Angela Merkel alla cancelleria. Del resto, spiegava Schuable, «chi deposita soldi in un paradiso fiscale deve sapere che corre dei rischi».

Il Parlamento cipriota ha bocciato l'intesa. Ora il nuovo schema esclude i depositi sotto i 100.000 euro. In compenso, oltre la soglia, ipotizza, pare, un prelievo forzoso del 20 per cento sui depositi della Banca di Cipro e del 4 per cento su quelli per lo stesso ammontare in altre banche. Patrimoniale o esproprio?
«Mai visto niente di simile in Europa dall'epoca dei soviet», ha ricordato gelido il premier russo, Dmitri Medvedev. A pagare per primi saranno infatti gli abbondanti depositi russi ma la pesante sforbiciata colpirà anche i capitali europei, soprattutto inglesi, tedeschi, francesi. Tutti attirati da un differenziale dei tassi più che interessante: in gennaio rendimento medio del 4,5 per cento contro l'1 per cento tedesco.
Una colpa? No, in un mercato unico che non ha ancora messo fuori legge la concorrenza nella corsa al risparmio altrui attraverso i differenziali di tassazione e rendimenti. Sì, per l'euronord, perché il settore bancario a Cipro è diventato ipertrofico, con un volume di depositi che vale sette volte il Pil locale, dunque è insostenibile e per questo destinato a una drastica cura dimagrante. Contestualmente all'arrivo dei 10 miliardi di aiuti europei dopo il via libera di stasera, si spera, da parte di un nuovo Eurogruppo.
Ineccepibile. Anche se volutamente si dimentica che, a far saltare gli equilibri dell'isola, oltre alla crisi finanziaria globale, sono stati proprio gli haircuts bancari imposti dalla troika con il piano di ristrutturazione del debito greco: gli istituti ciprioti hanno perso nell'operazione ben 6 miliardi. A fronte di un Pil nazionale di 17,5 miliardi.
La ristrutturazione s'ha da fare, partendo dalle due maggiori banche locali secondo la tabella di marcia che si sta mettendo a punto in queste ore.

L'interrogativo però è un altro e tutto europeo: è ragionevolmente accettabile che per finanziare il quinto salvataggio dell'eurozona, di un'economia minuscola (0,2% del Pil totale) noto off-shore da sempre, l'Europa bruci la sicurezza delle sue garanzia sui depositi bancari, la certezza del diritto e il principio dell'inviolabilità della proprietà privata, tradisca la fiducia dei suoi risparmiatori e sacrifichi la libera circolazione dei movimenti dei capitali, cioè la conquista del mercato unico?
Si risponde, come si fece per la Grecia, che Cipro è un caso speciale e per questo non costituisce un precedente. Ma, proprio perché la crisi di Nicosia arriva dopo quella di Atene, è difficile crederci. Come sarà difficile impedire la fuga di capitali non soltanto da Cipro ma dall'Europa e dalle sue economie più vulnerabili, Italia compresa.
Come e più che per i mercati, sono le aspettative psicologiche, infatti, a muovere la gente, soprattutto i risparmiatori. Questa volta il vero pericolo è che, per evitare il disastro di Cipro, si siano poste le basi di un disastro europeo ben peggiore di quello seguito al salvataggio greco. Non si scherza impunemente con la fiducia di nessuno. Meno che mai nell'Europa sempre più euro-scettica. A meno che la scelta non sia deliberata, un modo molto contorto per far partire la nuova selezione dei partner dell'euro.

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