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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2013 alle ore 11:42.

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Giovedì 21 marzo, la Bce decide quindi di usare le maniere forti: annuncia a sorpresa che interromperà le iniezioni straordinarie di liquidità alle banche cipriote in mancanza di accordo. Intanto, a Cipro monta la protesta popolare contro la chiusura delle banche, imposta dal Governo per il timore di una fuga dei capitali. Una nuova intesa è ormai urgente, tanto che Dijsselbloem convoca un nuovo Eurogruppo per domenica 24 marzo. Preoccupato dal fallimento del primo accordo, Van Rompuy decide di cancellare un vertice Europa-Giappone a Tokio e di partecipare ai negoziati con il Governo cipriota in prima persona.
Arrivando a Bruxelles, il presidente della Bce Mario Draghi getta le carte sul tavolo: avverte che il suo ultimatum scade alle 24 di domenica, non alle 18 di lunedì, come speravano in molti. La prima sfida è di trovare una intesa nella troika. Mentre l'Fmi chiede la chiusura delle due banche più indebitate (Laiki Bank e Bank of Cyprus), la Commissione vuole salvarne una perché continui a sostenere l'economia. Trovato un accordo, l'ostacolo da superare è ora cipriota. Anastasiades, che vuole salvare ambedue gli istituti, minaccia le dimissioni. «La situazione della Laiki Bank è scandalosa. Impossibile per noi non chiuderla» sbotta un negoziatore europeo.

Tardi nella sera di domenica, Sarris incontra nel palazzo del Consiglio europeo alcune delegazioni nazionali proponendo soluzioni che lo stesso Anastasiades aveva rifiutato con i membri della troika. Fuoco amico? Nuovo bizantinismo? «Eravamo a dir poco confusi», ammette un diplomatico. I negoziati sono condotti da Van Rompuy e dai vertici della troika; i ministri sono tenuti al corrente saltuariamente: «Nei fatti l'Eurogruppo è stato estromesso - ricorda un altro funzionario - ha solo dato il suo benestare all'accordo finale». Molti ministri hanno passato la serata negli uffici della loro delegazione nazionale, in frustrante attesa.
A ridosso della mezzanotte, dopo l'ennesima voce sulla convocazione urgente di un summit dei 27, le parti trovano un'intesa, che prevede la chiusura della Laiki Bank, la ristrutturazione della Bank of Cyprus, e l'impegno di depositanti e obbligazionisti ad assumersi le perdite. È abbandonata l'idea di una tassa sui conti. Avverte un alto responsabile europeo: «La partita però non è chiusa. L'economia cipriota aveva raggiunto dimensioni artificiali. Ora bisogna riportarla alla taglia dell'isola. Oltre che aiutare il Paese, bisognerà seguire passo passo le ristrutturazioni bancarie e le stesse restrizioni ai movimenti di capitale. Possiamo fidarci dei ciprioti?».

In Europa, Cipro non gode di fiducia. A Bruxelles, e in altre capitali, c'è poi la consapevolezza che la vicenda ha diviso i 17, lasciato cicatrici forse indelebili nell'assetto dell'euro, indebolito lo stesso presidente dell'Eurogruppo. Definire il contributo dei privati un nuovo modello nella gestione delle crisi bancarie, come ha fatto Dijsselbloem, ha creato nuove tensioni sui mercati e tra i Governi. «Il 2013 sarà l'anno decisivo della crisi debitoria - predice un diplomatico - il rischio è di assistere a tante piccole Conferenze di Monaco tipo 1938 nelle quali tutti dicono di avere vinto, ma in realtà tutti hanno perso, e in particolare l'Europa».

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