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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2013 alle ore 11:42.

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La lunga domenica di Nicos Anastasiades è iniziata alle 9 del mattino in un velivolo delle forze militari belghe. L'aereo era atterrato all'alba, inviato in tutta fretta a Cipro dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. «Il presidente cipriota era impegnato sabato nei negoziati a Nicosia.

Volevamo essere certi di poterlo avere qui a Bruxelles a metà giornata, prima dell'inizio dell'Eurogruppo», racconta un protagonista delle trattative che hanno portato quella domenica notte, esattamente una settimana fa, a un soffertissimo accordo tra Cipro e i suoi creditori internazionali.
I dieci giorni che hanno sconvolto la zona euro, dal 15 al 25 marzo, sono stati segnati da riunioni-fiume; teleconferenze improvvisate; gaffes e incomprensioni; tensioni e timori; decisioni controverse, alcune rinnegate, altre portate a esempio; e scelte dell'ultimo minuto come quella di Van Rompuy di spedire un aereo militare belga per prelevare d'urgenza il capo di Stato cipriota. «Non sarei sorpreso - dice l'economista greco, professore ad Atene, Yanis Varoufakis - se l'epilogo della crisi cipriota venisse registrato negli annali della Storia come una svolta cruciale, come il momento in cui l'Europa ha passato il Rubicone».
Da un resoconto degli eventi l'impressione è che la partita cipriota non sia terminata. Riuscirà il Paese a ristrutturare le proprie banche e a rimanere nell'Unione? Le stesse restrizioni ai movimenti di capitale decise a Nicosia non potrebbero forse estendersi anche in altri Paesi? Più in generale, le trattative di questi giorni hanno mostrato il successo di Van Rompuy, i limiti del neo-presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, e l'impotenza dei ministri finanziari, sopraffatti da accordi tecnicamente sempre più complessi. L'arrivo di Anastasiades a Bruxelles domenica 24 marzo era stato preceduto da una settimana concitata.

Preoccupato dal pericolo di un collasso bancario a Cipro, Dijsselbloem annuncia una riunione straordinaria dei ministri delle Finanze della zona euro per il 15 marzo. L'obiettivo è di trovare un accordo su un pacchetto di aiuti della troika (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Commissione europea). Finalmente all'alba si delinea un compromesso: prestiti per 10 miliardi da associare a un prelievo forzoso nei conti ciprioti per quasi sei miliardi di euro. Nel giro di ore il pacchetto però provoca dubbi e risentimenti, a Cipro e altrove. Riassume un diplomatico: «Si sono fatti i conti senza l'oste, ossia conti troppo tecnici, poco politici».
In effetti, due giorni dopo, il Parlamento cipriota boccia sonoramente il compromesso raggiunto a Bruxelles dal ministro delle Finanze Michalis Sarris. Ufficialmente, la palla è nel campo cipriota, ma gli esponenti più lucidi dell'establishment europeo non si fidano di Nicosia: in balia degli eventi? O alla ricerca di soluzioni bizantine? I ciprioti hanno vissuto per 500 anni sotto il dominio via via dei veneziani, degli ottomani, degli inglesi. Hanno considerato l'ingresso nell'Unione un modo per affrancarsi dalle potenze regionali, ma vedono ora in Bruxelles la nuova potenza dominante, con la quale giocare a rimpiattino.

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