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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2013 alle ore 07:15.

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Le prime annotazioni compaiono il 31 agosto 1999, in occasione di un incontro riservato con l'allora presidente del Consiglio: «Con D'Alema, solo noi due. Circa par condicio è disponibile a discutere emendamenti; ma ritiene soluzione proposta dal governo la migliore nella realtà italiana; d'altra parte è in linea con la disciplina delle materie nei maggiori paesi europei. Ricordo che le prime critiche sono partite da membri del governo o della maggioranza. Per conflitto d'interessi che io evoco, D'Alema è silenzioso. Al mio ricordo dell'unanime approvazione alla Camera il 22 aprile 1998 del disegno di legge parlamentare replica che il problema è un altro (ineleggibilità) e che forse bisognerà ricorrere a due distinti provvedimenti.

Faccio presente che soluzione peggiore è non legiferare, in quanto significherebbe che per il Parlamento (a maggioranza di centro-sinistra) il problema non esiste: ne conviene. Nel corso dell'incontro, sollecito di nuovo ad avere più orgoglio di quanto fatto dal 1996 e ad agire migliorando inoltre la comunicazione». E, pochi mesi dopo, agli inizi del nuovo anno: «Par condicio: è necessario che la legge venga approvata al più presto». Ancora, nel luglio del 2000, torna sull'argomento in una telefonata con il segretario dei Ds: «Parliamo soprattutto del conflitto di interessi e del modo di affrontare il tema. Veltroni sostiene ora la tesi dell'incompatibilità. Gli rappresento la contraddizione con il modo con il quale la sinistra, a cominciare dai Ds, si è sinora comportata».

In nuove forme e soprattutto con diversi protagonisti la vicenda riemerge con forza nel percorso del governo presieduto da Silvio Berlusconi. Sin dall'avvio del nuovo esecutivo Ciampi vigila monitorando gli sviluppi e auspicando iniziative legislative. Il 7 settembre 2001, a pochi giorni dall'attentato alle Torri Gemelle, annota sul Diario: «Incontro con Berlusconi nel dopo ferie, argomenti vari. Con collaboratori argomento conflitto di interessi. Berlusconi mi manderà testo disegno di legge nella prossima settimana: da parte mia rinnovo opinione che sarebbe meglio rimanere nelle linee del disegno di legge approvato all'unanimità dalla Camera nel 1998, tenendo anche conto del successivo testo approvato dal Senato a maggioranza.

Verso le 19.00 facciamo uscire i due collaboratori. Restati soli torno sul "conflitto". In sintesi dico a Berlusconi: "Ho sempre sperato e spero in un colpo d'ala, in una sua decisione radicale. Non ho idee precise. Ma un uomo con il suo successo di imprenditore, che ambisce ora al pieno successo politico, deve pensare a soluzioni ambiziose, con scelte che possono essere in più direzioni. Certo, noi padri abbiamo obblighi verso i figli, ma chi ha avuto successi e nutre ambizioni, ha anche obblighi verso la collettività, può, deve pensare anche a grandi iniziative (cito i Rockefeller). Perché quindi non pensare a una soluzione multipla (vendita, passaggio ai figli, grande iniziativa umanitaria culturale)". Berlusconi ascolta con attenzione e al termine mi vuole abbracciare».

Nel Diario di Ciampi viene riproposta più volte la stessa espressione: «Dico a Berlusconi di dover superare problema conflitto interessi con un colpo d'ala, al di là di quello che potrà essere il dibattito parlamentare». Ma dietro la richiesta di un salto di qualità nell'azione dell'esecutivo si consuma un contrasto aperto che stancamente condurrà verso un vicolo cieco. Scegliamo alcuni passaggi emblematici di tale escalation. «Convergenza su ipotesi conflitto interessi. Ma alcuni vorrebbero incompatibilità Berlusconi. Ma assurdità chiedere a questo Parlamento di votare incompatibilità di Berlusconi ignorata sia dai precedenti parlamenti sia dal centro-sinistra che lo ha accettato anche in campagna elettorale».

Due anni dopo, l'epilogo, che se in pubblico appare come uno scontro tra poteri, nelle pagine del Diario prende le sembianze di una resa dei conti giocata intorno alla promulgazione della legge Gasparri. Uno dei momenti più difficili del settennato, uno dei punti più critici nel rapporto tra istituzioni dello Stato. Così il 10 dicembre 2003: «Berlusconi e Letta mi chiedono se possono essere tranquilli su firma Gasparri. Rispondo che è tema di riflessione in atto, soprattutto per quanto riguarda il rispetto delle sentenze della Corte costituzionale. Escono contrariati». Cinque giorni dopo: «Colazione con Berlusconi che dice di considerare atto di guerra una mia non promulgazione». Una nota riservata di Gifuni accompagna le pagine con dettagli che chiariscono termini e contenuti del confronto a due: «Il presidente Berlusconi considera il rinvio alle Camere una bomba che determinerà effetti devastanti. Il presidente del Consiglio scongiura il capo dello Stato di voler ripensare alla decisione di rinviare la legge alla Camera, in quanto egli considera il rinvio una vera pugnalata alle spalle al governo e in particolare al presidente del Consiglio. In caso di rinvio, Berlusconi afferma che sarà guerra tra la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Consiglio (non mi vedrete più, non verrò più al Quirinale). Il presidente della Repubblica invita il presidente del Consiglio ad abbassare i toni e gli fa presente che la richiesta alle Camere di una nuova deliberazione rientra nella fisiologia del sistema costituzionale, che contiene, tra l'altro, una norma di chiusura che fa salva in ogni caso la volontà della maggioranza parlamentare la quale, se crede, può approvare nuovamente la legge anche senza apportarvi alcuna modifica, nel qual caso il presidente della Repubblica sarà tenuto a promulgarla.

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