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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2013 alle ore 07:30.

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Perché?
Perché sarebbe un massacro: funzionari e dirigenti degli istituti di credito consentono l'ingresso di capitali senza controllo, ma ciò a prescindere da accordi con la mafia o dal pagamento di tangenti. È una prassi.

Quindi c'è un problema di controlli?
Sì, non è che gli istituti di credito riciclano perché sono criminali, ma perché mancano le regole. Oggi si ricicla molto più a Londra che non nei paradisi fiscali. Si ricicla di più in Europa perché è meno costoso. Nei paradisi, che siano Cayman Islands o la Isle of Man, riciclare costa il 30%, qui invece è più facile usando gli "scalini" come Andorra, Liechtenstein, Lussemburgo o, fino a poco fa, San Marino. L'Europa consente facilmente di spostare conti e ciò è dovuto alla mancanza di liquidità, che rende fragile il sistema bancario europeo.

I soldi della criminalità sono andati in soccorso delle banche in deficit di liquidità?
Nel dicembre 2009 l'allora responsabile dell'Ufficio droga e crimine dell'Onu, Antonio Maria Costa, ha rilasciato una dichiarazione scioccante. Ha detto che «i guadagni delle organizzazioni criminali sono stati l'unico capitale di investimento liquido a disposizione di alcune banche per schivare il fallimento». Oggi le banche sono molto più aperte ai capitali mafiosi rispetto a 20 anni fa. Allora avevano paura di farsi infiltrare e sapevano che poi le mafie avrebbero finito per governare le banche stesse; oggi una banca condizionata dalle mafie è una banca che decide di dar credito o no a un determinato settore in base a una pressione economica.

Riepilogando: leggi fragili e facilmente aggirabili, mancanza di interesse a colpire il danaro sporco con il quale si comprano politici e funzionari e, tramite quelli, il riparo dalle banche. A ciò si aggiunge la debolezza del contrasto alla corruzione, che è invece l'altro punto di forza del narcotraffico. In Italia, l'ammontare del riciclaggio è stimato in 25 miliardi, quello della corruzione in 60: perché, allora, la lotta alla corruzione non è una priorità e non produce leggi serie, ma contraddittorie e controproducenti?
È un problema complesso perché la corruzione non è, come sembra, solo la mazzetta, il poliziotto o il giudice corrotto. La vera corruzione è il finanziamento di comportamenti anche legali, che però vanno a condizionare delle scelte. Questa corruzione è più difficile da identificare perché si fonda su un condizionamento sociale. Roberto Pannunzi diceva: devi corrompere una persona senza farla sentire corrotta. E così faceva lui: chiedeva piccoli favori, o di chiudere un occhio... Cose che fanno tutti.

La politica ha dato risposte adeguate finora?
Finora la politica, se ha riconosciuto il pericolo, non sembra aver avuto creatività nella ricerca di regole sulla finanza. Servirebbe un Patriot Act anche in Italia. Invece tutto è abbastanza immobile.

L'esperienza delle black list delle imprese infiltrate dalla mafia ha dato buona prova. Sarebbe utile replicarla sul fronte della corruzione?
Le black list funzionano purché la Commissione che le gestisce sia veloce e attenta. Piuttosto ci vorrebbe una sorta di rating degli uffici statali, comunali, la possibilità di essere giudicati con una, due o tre A in relazione a quanta corruzione si è lasciata passare. Bisognerebbe cercare soprattutto di controllare i subappalti, poiché la totalità è in mano alla mafia. Quando il presidente di Confindustria Squinzi dice che siamo sull'orlo del baratro, la domanda da farsi è: ne usciamo con i soldi dello Stato o delle mafie? Per ora io vedo arrivare solo capitali mafiosi...

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