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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2013 alle ore 08:26.

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In caso non ci fossero abbastanza persone che mi detestano in Italia, il tema di maturità mi ha assicurato l'odio di mezzo milione di studenti che si sono trovati di fronte, tra i molti brani da commentare, anche uno mio. Il tema che mi riguarda, "Stato, mercato e democrazia" è molto bello.

Ma è anche un tema estremamente difficile. Come ammette Raghuram Rajan - in un altro dei brani citati - «nonostante molta energia intellettuale sia stata spesa nel tentativo di definire il campo di manovra appropriato a "stato e mercato", l'interazione fra i due rimane una fonte di fragilità fondamentale». È difficile immaginare un tema più attuale. Come tutti e quattro i brani presentati suggeriscono, il delicato equilibrio tra capitalismo e democrazia, che ha beneficiato il mondo occidentale negli ultimi 65 anni, sembra essersi rotto.
Declinato in modo diverso in America ed Europa, questo equilibrio si basava su un capitalismo in grado di arricchire tutti e di una democrazia che rinunciava agli eccessi redistributivi per garantire il prosperare del sistema di mercato. A sigillare questo patto contribuiva un sistema fiscale e previdenziale che gratificava le generazioni presenti, trasferendo i costi su quelle future. Fintantoché le generazioni future erano più numerose e più ricche, il peso di questo trasferimento era minimo: la cosa più vicina ad un "free lunch" (pasto gratis) che esista in economia.

Purtroppo le premesse sottostanti questo equilibrio si sono infrante. La globalizzazione, che ha portato enormi vantaggi ai paesi in via di sviluppo, ha anche facilitato una distribuzione del reddito più ineguale nei paesi sviluppati. Mentre i lavoratori non qualificati, tanto in America come in Italia, vedono i propri salari erosi dalla competizione cinese ed indiana, le superstar, dal calcio alla moda, dal cinema all'economia, beneficiano enormemente di un mercato globale per i loro talenti. Il rallentamento della crescita economica e l'azzeramento della crescita demografica hanno ridotto i margini di manovra, rendendo più difficile sostenere un welfare generoso. Nell'Occidente il capitalismo non sembra più in grado fornire un benessere diffuso. A peggiorare le cose contribuisce una percezione diffusa che le regole del gioco siano falsate a favore di pochi: testa vinco io, croce perdi tu. Se questo è vero in tutto il mondo occidentale, è particolarmente vero in Italia, dove la crescita si è fermata già da vent'anni e dove, con qualche nobile eccezione, l'élite economica e politica è frutto di clientelismo e nepotismo, invece che di un sistema meritocratico. In questo contesto, l'esplosione del populismo dalla Grecia alla Francia, dall'Italia alla Finlandia è inevitabile. Quello che non è inevitabile è quali forme questo populismo prenderà. Distruggerà la democrazia o il sistema di mercato, o troverà un nuovo equilibrio? Questa è la sfida a cui la nostra scuola avrebbe dovuto preparare i maturandi.

Ma lo ha fatto? Gli studenti italiani sono stati preparati a rispondere a queste domande e (più in generale) alle sfide che la loro generazione dovrà affrontare? Sicuramente qualche professore di storia e filosofia avrà fatto un lavoro splendido. Nella scuola italiana esistono ancora questi eroi solitari, accademici mancati e sottopagati, che offrono ad una piccola élite un'educazione superiore. Io certamente ho beneficiato di questa nella scuola pubblica. Ma rappresenta la media?
Per quanto privilegiato ai miei tempi avrei avuto difficoltà a rispondere agli interrogativi sollevati da questo tema. Il programma di storia si fermava all'avvento del Fascismo e le uniche nozioni di economia provenivano dall'insegnamento della filosofia di Marx. Sono sicuro che oggi i programmi sono più estesi e variegati. Ma lo sono abbastanza per rispondere a queste domande? La commissione del ministero che ha scelto questo tema ha sicuramente individuato quella che la scuola dovrebbe essere. Speriamo che in futuro si adoperi anche per farla diventare tale.

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