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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2013 alle ore 10:12.
Coscienti e primi a soffrire del dramma della secolarizzazione, vedono e vivono le derive esistenziali e violente del rifiuto opposto a Dio. Avvertono quanto sia indispensabile che nel ritorno alla fede, quindi a reti di uomini e donne cambiate, si possa fondare una giustizia, un diritto e una pace nuovi. Papa Bergoglio ha detto dopo l'elezione: «Innanzitutto bisogna rimettere il cristianesimo in piedi. Occorre, cioè, rimetterlo dritto sul piedistallo in granito della fede: una fede salda, da cui tutto il resto derivi.
Continuando, così, il lavoro di colui che ha rinunciato al pontificato e che è giunto a dire «Il dramma della Chiesa, oggi, è che la fede, soprattutto in Europa, sembra esaurirsi come la fiamma di una candela che non trova più alimento». L'Enciclica ora aggiunge: «La fede fa comprendere l'architettura dei rapporti umani, perché ne coglie il fondamento ultimo e il destino definitivo in Dio» (cap. 4, n. 51). Tutto questo cammina con lo sguardo, gli occhi, le parole, le azioni, l'ascolto e il cuore degli uomini. Dio ha bisogno di loro, li chiama e li vuole testimoni. Lo fa attraverso la sua povera e malandata Chiesa. Si serve dei pastori e delle pecore del piccolo gregge.
Come fu per il "resto" di Israele. Francesco lo sa ed è il primo a spendersi perché il popolo di Dio sia degno di tale nome. L'Enciclica è il punto più alto della sua catechesi quotidiana. Ogni giorno nelle omelie della messa nella residenza di Santa Marta traduce la parola di Dio in un continuo invito alla fede da declinare nelle piccole scelte perché da esse, e solo da esse, arrivano le grandi scelte. Brevi momenti in cui escono quelle espressioni semplici ma penetranti che non lasciano via di scampo per chi crede, ma anche per chi non crede e si interroga sul senso dell'esistere, sulla finitezza, sul dolore, sulle ingiustizie. Qualche esempio? Eccolo: «Come va la nostra fede? È forte? O alle volte è un po' all'acqua di rose, una fede così così?»; «Nella Chiesa ci sono cristiani tiepidi, cristiani da salotto. Chiediamo la grazia di essere cristiani con zelo apostolico.
E se diamo fastidio, benedetto sia il Signore»; «Non si può portare avanti il Vangelo con cristiani tristi, sfiduciati, scoraggiati. Tutto è gioia. Ma noi cristiani non siamo tanto abituati a parlare di gioia, di allegria». La fede è "lumen" perché rischiara il buio, ma anche perché cambia il volto di chi la accoglie, porta speranza nella tristezza, dà coraggio e forza. È sorprendente vedere la domenica o il mercoledì il sorriso, gli occhi, le strette di mano, i saluti, gli abbracci di Papa Francesco durante gli interminabili girovagare sulla papamobile tra la folla di Piazza San Pietro, che ormai si estende sempre a via della Conciliazione: piccoli gesti carichi di profondo affetto, di condivisione del cuore, di amore paterno.
Un piccolo-grande dono di Lumen fidei impersonata. Perché? L'Enciclica dà una risposta quando nell'invocazione conclusiva a Maria, madre della Chiesa e madre della nostra fede, il Papa scrive «insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù, affinché Egli sia luce sul nostro cammino». Se la fede è un dono, se è un incontro personale e concretissimo che accade nell'avventura umana di ciascuno, se è la luce che cambia l'esistenza rendendola capace di rapporti sociali più umani, se è il fattore che trasforma l'indifferenza in testimonianza, se è questo e altro ancora che l'Enciclica indica, ebbene questa fede vive di una memoria poggiata su quattro cardini che la sottraggono a ogni soggettivismo per fondarla su terreno solido: la confessione della fede, la celebrazione dei Sacramenti, il cammino del Decalogo, la preghiera. (cap. 3, n. 46). Quattro dimensioni che permettono a Cristo di parlare, farsi conoscere, camminare nel tempo presente, compiere i miracoli raccontati dai Vangeli.
Quattro condizioni che rendono la Chiesa veramente Chiesa così da poter dire con sicurezza e convinzione che «la fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all'amore, e assicura che quest'amore è affidabile, che vale la pena consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità» (cap. 4, n. 53).
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