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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2013 alle ore 14:14.

Nella Nato, l'Alleanza atlantica, uno dei temi di litigio più amati è quello sulla percentuale di spesa militare e di spesa sociale rispetto al Prodotto interno lordo. A sentire uno dei tipici falchi, gli americani che nascono da Marte (secondo la definizione di Robert Kagan in Power and Weakness, Policy Review 113/2002, ndr) «piuttosto dormono sotto i ponti, ma spendono per la difesa», mentre gli europei che sono dei molli venusiani «spendono un sacco per laute pensioni».

Se non fosse caduto il Muro di Berlino, sarebbe stato il discorso di un commissario politico sovietico ai taciturni colleghi dei paesi fratelli.
Peccato che la realtà sia assai più prosaica e più difficile da affrontare. In primo luogo tutti i paesi industrializzati dagli anni Sessanta spendono meno in armamenti e più in istruzione e sanità (dati dell'Unicef), inclusi gli Stati Uniti d'America, che dal 1975 hanno fatto questo sorpasso e dal 1995 hanno avuto curve assai divergenti. Al 2010 spendevano il 5 per cento di difesa e il 10 per cento di spese sociali (dati della Casa Bianca).
In secondo luogo, c'è il problema della disciplina finanziaria. In Europa tutti gli Stati sono costretti a tagliare la spesa pubblica, difesa inclusa. Negli Stati Uniti si è visto un balletto inconcludente attorno al cosiddetto «fiscal cliff», anche se tutti sanno che bisognerà tagliare tanto sulla spesa sociale quanto sulla vacca sacra della difesa. Spese che sono spesso senza copertura statunitense ma a credito internazionale. È realistico in queste condizioni fare da soli il 45% della spesa militare mondiale? No, è soltanto questione di complesso militar-industriale, tanto è vero che sino a oggi gli ultimi tagli fatti decisi dalla politica risalgono agli anni Cinquanta.

Terzo, chi dice disciplina finanziaria dice austerità. Che senso ha parlare del 2% del Prodotto interno lordo con una recessione galoppante oppure con una crescita rachitica? Di questi tempi non c'è alternativa tra burro e cannoni: o si produce burro, e allora si avranno i cannoni, oppure ci si riduce come la Grecia oggi e magri altri paesi domani.
Quarto, gli europei sono metà delle truppe presenti in Afghanistan (senza di essi non ci sarebbero retrovie sicure) e sono la totalità del crucialissimo contingente in Libano, cioè in un decennio la resa della spesa militare europea è cresciuta. In Libia si sono visti i limiti, ma è bene ricordare che sono i limiti dei paesi «virtuosi» nella spesa militare: se questi sono i risultati perché gli altri devono spendere di più anziché meglio?
Che fare? Al di là delle schermaglie retoriche è dal 1954 che la Comunità europea della Difesa è ferma e che i grandi paesi dell'Unione continuano a bloccare qualunque sensata riforma continentale. Ruolo statunitense a parte, i grandi avversari del cambiamento sono la Francia, il Regno Unito e la Germania nelle varie combinazioni possibili, con l'Italia che non ha mancato di dare il suo contributo nonostante l'europeismo dichiarato.

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