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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2013 alle ore 13:47.

Fatto è che sullo Stato da contenere e riperimetrare giriamo in tondo da moltissimo, troppo tempo. A svoltare non sono bastati decenni di "Considerazioni finali" dei Governatori della Banca d'Italia, un monito severo e molto applaudito ogni 365 giorni. Non sono bastati i ponderosi lavori della Commissione tecnica per la spesa pubblica, per tre lustri diretta da Pietro Giarda (poi anche sottosegretario, ministro e commissario per la spending review, ritenuto il massimo conoscitore dei meandri dei conti pubblici). Non sono bastati i richiami dei presidenti della Repubblica, i rapporti dell'Istat, della Corte dei Conti, del Cnel, degli uffici tecnici di Senato e Camera, le commissioni di indagine e le innumerevoli audizioni parlamentari, i documenti della Ragioneria generale dello Stato, i due rapporti di Giarda e Giavazzi del 2012, le sferzate di decine di centri studi pubblici e privati, nazionali e internazionali, migliaia di tavole rotonde, inchieste giornalistiche, quaderni di ricerca, risoluzioni politiche, manifesti elettorali, programmi di governo annuali, pluriennali, di assestamento e di aggiornamento contabile. Un oceano di carte e di parole scritte e orali ciascuna risolutiva solo in potenza e poi destinata all'oblìo.
Ora abbiamo il pareggio di bilancio in Costituzione, c'è l'euro, il commissario Rehn che ci osserva di traverso, Mario Draghi che guida la Banca centrale europea, ci sono i vincoli europei vecchi e sopattutto nuovi, lo spread, i "mercati che ci guardano". E però scorrendo il Def i numeri dicono che il problema della spesa pubblica e del debito non è stato risolto e nemmeno avviato troppo a soluzione.

Si lotta a colpi di decimali per tamponare una falla che ha cominciato ad aprirsi molto tempo fa e che non si è riusciti a chiudere. Si procede aggiustando per uno 0,1% del Pil in attesa della Grande Svolta, che dovrebbe arrivare con la Legge di stabilità, la prima che sarà trasmessa per un giudizio anche a Bruxelles. È in plancia il nuovo commissario per la spending review, il pragmatico Cottarelli che segue il leggendario Enrico Bondi e l'epico Pietro Giarda. E restano sempre accesi i motori del discorso sulla razionalizzazione della spesa che, ha scritto il professor Paolo De Ioanna, altro gran sacerdote della finanza pubblica, «opera come un topos che innesca una sorta di auto-analisi collettiva sull'idea che abbiamo dei nostri diritti e doveri di cittadinanza».

Ma tra un discorso e un altro può capitare di perdersi nell'oceano delle carte e di ritrovarsi in mano non un Libro bianco ma un Libro verde, quello presentato nel 2007 al ministro dell'Economia del Governo Prodi Tommaso Padoa-Schioppa. Cambia solo il colore. L'Italia, c'è scritto,«ha già cumulato un debito enorme (106,3% sul Pil, ndr),che costa in interessi per 70 miliardi l'anno e pesa su una giovane generazione del tutto incolpevole». Tornano così a mente le cifre del nuovo Def, settembre 2013: nel 2014, se va bene, pagheremo interessi per 86 miliardi e alla fine dell'anno il debito pubblico sarà sceso dello 0,1% in rapporto al Pil, da 132,9% del 2013 a 132,8%. Segno che la nuova e incolpevole generazione è invecchiata di 7 anni, sempre in attesa della Grande Svolta.

guido.gentili@ilsole24ore.com
@guidogentili1

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