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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2013 alle ore 07:20.
L'ultima modifica è del 24 ottobre 2013 alle ore 09:14.

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In un articolo sul Mulino, Michele Salvati scrive, a proposito della crisi dell'euro, di avere a suo tempo «sottovalutato che… le grandi differenze di produttività, competitività, efficienza, capacità di governo dei diversi Stati avrebbero reso assai faticoso il funzionamento del sistema che per definizione esclude una possibilità di svalutazione da parte dei Paesi che non sono in grado di crescere se sottomessi alla disciplina di una politica monetaria e di cambio comune» (Troppe regole, nessun governo, Il Mulino, 4/13).

Si tratta di un'ammissione significativa in questa fase delicata in cui emergono dubbi sulla solidità e sostenibilità della moneta unica. La posizione di Salvati ha accomunato, fino a oggi, larga parte delle classi dirigenti europee. Questo atteggiamento acritico ha fatto cadere nel vuoto ogni tentativo di mettere in discussione il modo nel quale si stava realizzando la moneta unica.
Questo ha fatto sì che, quando è scoppiata la crisi, le classi dirigenti hanno reagito sbandando e oscillando fra la ricerca affannosa di soluzioni appropriate e la speranza che i problemi potessero risolversi da soli. Oggi non solo non vi è un consenso sulle cose da fare, ma non vi è neppure la legittimazione politica democratica di coloro che hanno il potere di fissare le regole e di dettare i comportamenti dei Paesi membri.
Nel momento nel quale la crisi dell'euro spinge a riflettere retrospettivamente sugli anni nei quali venne costruita la moneta unica, si deve scavare più a fondo nelle ragioni degli errori compiuti. Due fattori principali hanno contribuito a quegli errori. Il primo è stata l'idea che l'integrazione europea richieda delle fughe in avanti da parte di avanguardie consapevoli dei "veri" interessi dell'Europa. Così sarebbe stato anche per la moneta unica. Questa convinzione non escludeva dei momenti di crisi, ma si riteneva che le crisi avrebbero costretto i paesi europei a ricercare un più avanzato livello di cooperazione e di integrazione politica.

Abbiamo sentito ripetere che le difficoltà dell'euro avrebbero costretto l'Europa a realizzare celermente l'unione bancaria, l'unione fiscale e l'unione politica. Nel Consiglio europeo del giugno 2012, l'allora presidente del Consiglio italiano minacciò di bloccare le deliberazioni del vertice se non si fossero presi impegni precisi su questi temi. Il Consiglio assunse alcuni impegni, ma di quel vasto programma non si è visto nulla. È scomparso l'impegno al sostegno della ripresa economica, sostituito dal suo esatto contrario, cioè dall'inasprimento delle regole fiscali che impongono la deflazione.
Questa convinzione manifesta una hubris delle élites europee. Si pensava di forzare la scelta politica europea nella convinzione che essa sia comunque nell'interesse dei popoli europei. In realtà il sostanziale insuccesso dell'Unione monetaria allontana l'unità politica. L'euro che doveva coronare il progetto di unificazione politica sta divenendo l'ostacolo alla sua realizzazione.

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