Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2013 alle ore 10:13.
L'ultima modifica è del 07 dicembre 2013 alle ore 10:22.

My24

Il canto, quando apparve Mandela, cominciò in maniera quasi sommessa, i piedi di migliaia di persone battevano ritmicamente sulla terra che iniziò a tremare sotto le scosse di un terremoto benevolo: non si sprofondava nelle viscere ma si saliva sempre più in alto, sollevati dal grande cuore dell'Africa verso il cielo.

Dovevamo avere paura noi cronisti, almeno secondo la polizia dell'apartheid, che aveva preparato al centro della spianata un'orribile gabbia di acciaio, circondata da agenti, dove ci era stato ordinato di assistere al primo raduno pubblico di Nelson Mandela. Nessuno però obbedì, quasi subito uscirono tutti dalle sbarre: stava finendo un'epoca che aveva imprigionato non soltanto il Sudafrica ma anche il resto del mondo, spettatore quasi passivo di una delle tante tragedie del Novecento.
Tragedie che se guardiamo bene ancora ci perseguitano, se non altro pèrché tendiamo a rimuoverle in un'età incline all'oblio.
Era il 30 aprile 1990: Nelson Mandela, scarcerato in febbraio, teneva il suo primo discorso da uomo libero a Mitchell's Plain alla periferia di Cape Town. Sul palco oltre a Mandela c'era tutto lo stato maggiore dell'Anc che stava per iniziare gli storici colloqui di Johannesburg con il governo de Klerk.
Qualche giorno prima avevo incontrato Joe Slovo, rientrato dall'esilio. Figlio di ebrei lituani Slovo era il presidente del Partito comunista alleato con l'Anc: la moglie, Ruth First, era stata uccisa da un pacco bomba spedito dalla polizia sudafricana in un attentato a Maputo. Compagno di studi di Mandela e Sisulu, Slovo non aveva mai perso l'ironia molto jewish che lo aveva aiutato a sopravvivere. Quando si parlava delle nazionalizzazioni e del programma socialista dell'Anc amava raccontare una storiella. Un uomo muore e va all'inferno dove il diavolo gli propone una scelta: passare l'eternità nell'inferno socialista o in quello capitalista. L'uomo non ha dubbi e sceglie quello socialista. Il diavolo, un pò meravigliato, gli chiede perchè e quello risponde: "Sono polacco e ho imparato come si fa a uscire dall'inferno comunista". Mandela, diceva Slovo, la ripeteva sempre ai suoi ex carcerieri quando gli chiedevano se aveva intenzione di precipitare il Sudafrica nel comunismo.

Anche Walter Sisulu e sua moglie mi avevano raccontato una storia su Mandela, meno politica e più intima. Sisulu era figlio di Alice, una domestica nera dello stesso clan di Mandela i Thembu, mentre il padre era un bianco, un ferroviere che era stato trasferito da Città del Capo la Transkei. "Io e Nelson _ raccontava Sisulu_ fummo i primi del clan a iscriversi all'Università e lui fu anche il primo nero ad aprire uno studio legale in Sudafrica.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi