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Questo articolo è stato pubblicato il 10 febbraio 2014 alle ore 08:23.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:02.

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Più del rincaro del contributo unificato, potè l'inefficienza della pubblica amministrazione e il disordine legislativo. Nonostante i significativi ritocchi alla "tassa" sulla giustizia apportati dalla legge di stabilità 2013 (legge 228/2012) – che in alcuni casi ha aumentato anche del 50% il contributo per presentare i ricorsi davanti alla giustizia amministrativa (per esempio, nel caso degli appalti) – il numero di cause è cresciuto rispetto all'anno prima. Nel 2012 i ricorsi erano arrivati a poco più di 60mila (51mila nei Tar e 9.300 al Consiglio di Stato). L'anno scorso sono diventati 64mila (54mila in primo grado e quasi 9.600 in appello).

Gli aumenti del contributo unificato, dunque, non hanno tenuto i litiganti lontani dai tribunali. Anzi. La spiegazione la si può ritrovare nelle parole che il presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini, ha pronunciato circa una settimana fa durante l'apertura dell'anno giudiziario. «Emerge con chiarezza – ha affermato Giovannini – la dimensione dell'impatto che la giustizia amministrativa ha sulla vita economica e sociale del Paese, tenuto anche conto che, sostanzialmente accanto alle questioni più minute, tutte o quasi le grandi determinazioni amministrative finiscono per formare oggetto di impugnativa nelle nostre aule».

Non è un caso che a guidare la classifica dei ricorsi siano quelli in materia di edilizia e urbanistica: l'anno scorso se ne sono contati più di 11mila depositati davanti ai Tar. Record che, di conseguenza, si riverbera anche sulle impugnazioni, visto che al Consiglio di Stato le medesime cause sono state oltre 2mila. Non è difficile arrivare a capire il perché di un simile affollamento. Basta pensare alle mille norme che regolano la materia, divisa tra piani urbanistici comunali, piani paesaggistici regionali, autorizzazioni varie. Il cavillo per fare ricorso è sempre a portata di mano.

Fanno pendant gli oltre 3mila ricorsi presentati ai Tar nel 2013 su appalti e servizi pubblici. Anche questa materia assai controversa, con una disciplina ondivaga, in continuo mutamento. Si prenda il caso della legge madre: il codice dei contratti pubblici. In sette anni di vita il legislatore vi ha rimesso mano al ritmo di sei modifiche l'anno. Ora siamo arrivati a 44 lifting. E la storia non è finita, perché, come ha avuto modo di sottolineare Giovannini, «già si preannuncia un ulteriore più radicale intervento legislativo a seguito delle nuove direttive sugli appalti e le concessioni approvate pochi giorni fa dal Parlamento europeo».

È inevitabile, insomma, che l'affabulazione normativa, con il conseguente caos interpretativo, alimenti il contenzioso. A voler trovare conferme non si fa fatica. Oltre ai casi già citati, ci sono le oltre 4mila cause in materia di stranieri, altrettante su questioni attinenti autorizzazioni e concessioni, più di 3.500 relative al pubblico impiego.
Ma non è l'unico motivo che può spiegare come mai tante persone decidano di rivolgersi ai giudici amministrativi. C'è anche il fatto che spesso le decisioni delle pubbliche amministrazioni sono fragili, offrono il fianco a chi vuole intraprendere la strada del ricorso. Per usare le parole di Giovannini, le amministrazioni pubbliche soffrono di «debolezza», non sono, cioè, «in grado o, forse, non hanno la credibilità necessaria per assumere provvedimenti di una certa portata che restino incontestati ai rispettivi destinatari». E questo per motivi ormai atavici: personale scarsamente formato e poco motivato, cattiva organizzazione della burocrazia, diffuse inefficienze del sistema.

E ciò ha una duplice conseguenza: da un lato porta a provvedimenti lacunosi – bandi di gara fatti male, concorsi poco trasparenti, nomine di candidati senza titoli, autorizzazioni in assenza dei requisiti – che generano contenzioso. Dall'altro, una volta che il giudice riconosce le ragioni del ricorrente e richiama l'amministrazione all'ordine, quest'ultima – inefficiente fino in fondo – si dimostra sorda. E si innescano nuovi ricorsi. Quasi 10mila sono quelli presentati nel 2013 da chi ha una sentenza in mano ma non riesce a farla rispettare.

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