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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2014 alle ore 07:45.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 12:16.

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Non capita spesso che un'università italiana superi le big mondiali. Perciò quando accade è di per sé una notizia. Come è successo alla Luiss Guido Carli di Roma, l'ateneo presieduto da Emma Marcegaglia che si è aggiudicato l'undicesima edizione della Rotman Competition per il trading internazionale, grazie a quattro suoi laureati in Economia e management e ora iscritti ai suoi corsi di laurea magistrale in Economia e finanza (Riccardo Caruso, Michael Guy Cuna, Giovanni Fassari e Alessio Ottaviani), preparati dal professor Emilio Barone, dopo una gara di tre giorni a Toronto, hanno battuto 51 team provenienti dalle più blasonate realtà americane (tra cui Berkeley, Chicago, Cornell, Mit, Princeton, Stanford e Ucla) e dal resto del mondo (Europa, Africa ed Asia). Un risultato dietro il quale «c'è quasi un anno di lavoro» come sottolinea il rettore Massimo Egidi, che si definisce «orgoglioso» del risultato del suo team e aggiunge: «È stato come preparare i nostri ragazzi per i Mondiali».

È lui stesso a spiegare perché il coefficiente di difficoltà della Rotman Competition è molto elevato: «Bisogna simulare cosa succede in Borsa per cui è richiesta una formazione di tipo "esperienziale"». Non bastano cioè le nozioni che i ragazzi hanno imparato tra lezioni ed esami ma serve – precisa – aver sviluppato la dimestichezza a «fare trading in squadra».
Grazie a una «formazione che unisce teoria e operatività e che quindi è già professionalizzante». Poiché ci si sfida a colpi di trading, negoziando contratti in tempo reale con le stesse pratiche in uso nei mercati finanziari, basta infatti perdere una singola operazione di Borsa per vanificare il lavoro di un anno. E invece è andata diversamente. Grazie anche a un modo nuovo di strutturare la formazione dei giovani, che è molto in uso nelle università anglosassoni e che in Italia è ancora agli albori, come fanno notare tutti gli studenti che hanno fatto un'esperienza nell'ambito del programma Erasmus al loro rientro in Italia.

Competizioni del genere sono utili anche a riportare al centro del dibattito il tema del merito. Troppo spesso assente dalle vicende italiane, in generale, e dai nostri atenei, in particolare. Per promuoverlo di più e meglio «la Luiss - come sottolinea Egidi - sta puntando su due cardini: il primo, far emergere i talenti a cui assicurare un percorso formativo da noi direttamente e completamente finanziato; il secondo, rafforzare una mentalità imprenditoriale di autovalorizzazione della persona e di sviluppo delle proprie capacità».

Da qui a parlare dell'orientamento il passo è breve. Purché lo si intenda - evidenzia il rettore - in due modi. Innanzitutto come uno strumento «per vincere la confusione» iniziale: «Se ai ragazzi vengono presentati in modo chiaro i contenuti culturali e scientifici dei loro possibili percorsi universitari - fa notare - possono capire quali sono i loro potenziali interessi». In secondo luogo, orientare gli studenti significa anche mostrare loro in anticipo delle opportunità lavorative. Ed è ciò che «proveremo a fare con il progetto "Dalla App alle start up"», rivolto ai 30 migliori allievi dell'ultimo anno dei licei e degli istituti tecnici di Roma e nato dalla collaborazione tra il Dipartimento Impresa e management della Luiss e il Dipartimento di Informatica della Sapienza. Anche questo è un esempio di come si possa diventare imprenditori di se stessi fin dai banchi di scuola. Un modello - chiosa il rettore- , fondato sul «sapere esperienziale, che unisce pratica e teoria, discussione e confronto e che faccia capire che questo è un modo di insegnare ancora poco diffuso in Italia, ma in linea con le migliori pratiche internazionali».

Nel manifestare ottimismo per la nomina di Stefania Giannini a ministro dell'Istruzione, Egidi si sofferma sulle principali criticità del sistema universitario italiano. La cronica mancanza di risorse che «prima o poi dovrà essere risolto», certo. Ma anche la presenza di vincoli troppo stringenti e uguali per tutti. Che se da un lato impediscono i comportamenti errati, dall'altro rischiano «di colpire chi vorrebbe crescere rapidamente sperimentando modelli innovativi». Da qui il suo appello a «ridurre i vincoli per gli atenei che vanno meglio e che quindi sono nella parte alta della valutazione condotta dall'Anvur», ad esempio sull'utilizzo dei docenti stranieri: rendere questo tipo di vincoli meno stringenti favorirebbe l'internazionalizzazione delle nostre università. E forse dell'intero Paese.

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