Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2014 alle ore 08:17.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 13:53.
L'eccesso di risparmio ha anticipato la crisi e potrebbe continuare a influire sulla domanda globale, a meno che la classe media dei Paesi emergenti non fornisca all'economia globale l'ultima risorsa di un nuovo consumatore. È verosimile che alla fine una cosa del genere accadrà, ma - malgrado gli sforzi degli Usa e dell'Fmi - questo processo di ribilanciamento non è stato ancora completato.
Dal versante dell'offerta la sfida nasce da una nuova controversia sorta tra economisti ed esperti di tecnologia al riguardo del ritmo del progresso tecnologico. Per Robert Gordon della Northwestern University, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno già apportato alla produttività buona parte dello slancio che ci si poteva aspettare. Non ci sarebbe nessuna nuova sensazionale ondata di innovazione in vista, tale da neutralizzare il rallentamento della crescita potenziale. I ritardatari potranno guardare al futuro, raccogliere dividendi e recuperare. Ma i Paesi che si trovano all'avanguardia della tecnologia dovrebbero accettare il fatto che una crescita pro-capite annua molto lenta, diventi da ora in poi la normalità.
Al contrario, gli studiosi Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee dell'Mit sostengono che la Seconda rivoluzione industriale debba ancora arrivare. I due affermano che il potere informatico, la connettività planetaria e la possibilità pressoché illimitata di generare nuove innovazioni innescheranno trasformazioni significative nella produzione e nei consumi, nello stesso modo in cui il motore a vapore trasformò il mondo nel XIX secolo. La crescita dovrebbe aumentare di conseguenza, quanto meno se adeguatamente misurata.
Se si mettono insieme le sfide citate da Gordon e Summers e l'opinione secondo cui le economie avanzate si stanno riprendendo si arriva ad alcune conclusioni sconfortanti. Se ha ragione Gordon sulla lenta crescita della produttività, l'eccedenza di indebitamento ereditato dalla crisi e dalle calamità che si sono abbattute sulle finanze pubbliche durerà molto più a lungo di quanto si prevedesse. Se ha ragione Summers quando afferma che la domanda è destinata a restare inadeguata, i problemi finanziari sommati alla persistente disoccupazione di massa probabilmente potranno spingere i governi verso soluzioni radicali, come il default del debito, l'inflazione o il protezionismo finanziario.
Se invece dovessero avere ragione Brynjolfsson e McAfee, la crescita sarà molto più solida e la faccenda dell'indebitamento sarà dimenticata prima del previsto. La sfida, a quel punto, sarà gestire la riduzione della manodopera e le ripercussioni delle disparità di reddito derivanti dalle tecnologie emergenti.
Ciò è vero a maggior ragione se si considera che queste trasformazioni sono in atto sullo sfondo di una persistente disoccupazione di massa. Il rischio è che i problemi sociali diventino ingestibili, dato che i progressi tecnologici potrebbero essere considerati un vantaggio per i ceti abbienti e causa di più gravi difficoltà per le masse. In uno scenario di questo genere, i governi dovranno saper trovare risposte innovative.
(Traduzione di Anna Bissanti)
Permalink
Ultimi di sezione
-
Italia
Agenzia delle Entrate sotto scacco, rischio «default fiscale»
-
L'ANALISI / EUROPA
L'Unione non deve essere solo un contenitore ma soggetto politico
Montesquieu
-
NO A GREXIT
L’Europa eviti il suicidio collettivo
-
Il ministro dell'Economia
Padoan: lavoreremo alla ripresa del dialogo, conta l’economia reale
-
LO SCENARIO
Subito un prestito ponte
-
gli economisti
Sachs: la mia soluzione per la Grecia