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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2014 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:09.
Più probabilmente la Bce cercherà di manipolare il processo sia per timore di una ripresa della crisi che per le pressioni dei governi nazionali. Verranno selezionati alcuni Paesi piccoli per far sembrare più severo il processo, mentre i problemi più grandi saranno debitamente occultati: le banche tedesche sono già riuscite a escludere molti dei propri asset dalla valutazione.
Uno degli argomenti a favore del ruolo di vigilanza della Bce sulle banche dell'Eurozona è che è meno controllata dalle banche rispetto alle autorità di vigilanza nazionali. Tuttavia, il suo comportamento durante la crisi suggerisce il contrario, poiché ha ripetutamente dato priorità agli interessi delle banche del "centro" e si è dimostrata più sensibile alle pressioni politiche di Berlino e Parigi che di Madrid o Roma, per non parlare di Dublino o Atene.
Anche dopo che diventerà pienamente operativa, la nuova struttura dell'unione bancaria presenterà comunque delle lacune. Su insistenza della Germania, la Bce monitorerà solo le circa 130 banche più grandi della zona euro. Ciò lascia le più piccole Ländesbanken (banche regionali di proprietà statale), molte delle quali hanno preso decisioni creditizie terribilmente sbagliate negli anni della bolla, e le Sparkassen (casse di risparmio minori) nelle mani dei politici locali e del malleabile supervisore finanziario della Germania. L'argomento che i creditori più piccoli non rappresentano una minaccia sistemica è pretestuoso, basti pensare alle Cajas spagnole. In ogni caso, non ci sarà parità di condizioni.
Soprattutto il meccanismo unico di risoluzione è un miraggio, perché i governi nazionali conservano il diritto di veto sulla chiusura delle banche. Esso è volutamente complesso al punto di essere impraticabile: è inconcepibile che una banca possa essere dismessa nell'arco di un fine settimana per evitare il panico dei mercati. E i fondi collettivi che potrà avere a disposizione sono esigui: solo 55 miliardi di euro.
In pratica, quindi, il salvataggio delle banche resterà nelle mani dei governi nazionali, che sono tutti controllati dalle "loro" banche, ma la cui capacità di intervenire in loro aiuto varia: le banche francesi e tedesche saranno salvate, quelle cipriote no. Per aumentare le loro speranze di sopravvivenza le banche della periferia dell'Eurozona dovranno prendere in prestito quanto più denaro possibile da banche e investitori con agganci politici nel "centro". Pertanto i contribuenti nazionali resteranno alla mercè delle perdite bancarie.
Il risultato è che l'Eurozona nel suo complesso rischia di trovarsi a combattere con un sistema bancario zombie e che l'impegno a ristrutturare le banche con fermezza ed equità sia solo discontinuo. Peggio ancora, il divario Nord-Sud e centro-periferia è destinato a inasprirsi, con le banche sostenute dai contribuenti da un lato e quelle che devono cavarsela da sole dall'altro.
Ciò rappresenta un bonus per i contribuenti meridionali in difficoltà, ma implica che anche banche sane potrebbero avere, nel prossimo futuro, costi di finanziamento più elevati rispetto alle banche del Nord Europa più a rischio. Le imprese dell'Eurozona meridionale si troverebbero, quindi, ad affrontare costi di finanziamento più elevati rispetto alle imprese del Nord Europa, con il rischio di ostacolare la crescita. Un'unione bancaria fasulla è, pertanto, la ricetta ideale per accrescere le divisioni sul piano economico e politico.
Traduzione di Federica Frasca
Copyright: Project Syndicate, 2014
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