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Questo articolo è stato pubblicato il 25 aprile 2014 alle ore 08:42.
L'ultima modifica è del 25 aprile 2014 alle ore 09:45.

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La critica costante ai modi di gestire la vicenda Stamina, offerta alla discussione pubblica attraverso gli interventi sempre sulle pagine di Domenica di tre scienziati italiani che sono anche tra i massimi esperti mondiali di staminali, cioè Paolo Bianco, Elena Cattaneo e Michele De Luca, era per il Sole 24 Ore in continuità con le idee e strategie lanciate attraverso il Manifesto per la Cultura. Perché è prima di tutto per una questione di cultura se un Paese che ha dato i natali a molte idee della modernità, inclusa la filosofia generale del metodo scientifico (che, infatti, è detto galileiano), è potuto cadere vittima di una vicenda come Stamina.

Quasi tutti i commenti dopo la chiusura dell'inchiesta hanno richiamato la necessità di rendere più umana, compassionevole, empatica, la medicina. Che oggi lo so sarebbe, e che per questo si troverebbe, in difficoltà nell'arginare i ciarlatani. Dando così quasi per scontato che vi sia una sorta di antagonismo tra le qualità scientifico-tecnica e morale dell'aiuto medico ai malati.

Per chi la storia della medicina la insegna, com'è il caso di chi scrive, si tratta di una perorazione francamente un po' minimalista. Or sono millenni che i medici vanno raccomandandosi l'un l'altro di mostrare simpatia e compassione per i malati, perché in passato si riteneva che questo generasse fiducia nel medico e quindi ne guadagnasse sia il rapporto con i pazienti sia la professione. A un certo punto, però, la medicina è diventata scientifica e poi è arrivata la cultura dell'autodeterminazione del paziente. Nel nuovo contesto l'efficacia e l'efficienza tecnico-operative hanno reso sempre meno necessario far uso di sentimenti per rafforzare la fiducia dei pazienti: un'infezione batterica che risponde agli antibiotici o un'appendicite si possono trattare con la stessa efficacia, suscitando ammirazione nei malati, sia che ci si dimostri empatici, sia che si abbia un carattere scontroso. Inoltre, il paternalismo medico è entrato in crisi in un modo che valorizza l'autonomia, i diritti e le scelte individuali.

Ma l'epidemiologia delle malattie cambia. Oggi non sono più le malattie acute a impegnare le strategie della sanità pubblica, ma quelle cronico-degenerative (tumori, demenze, Parkinson, malattie rare), ereditarie o meno, non trattabili, che in passato non costituivano un problema sanitario. Questa nuova situazione richiede che si operi per migliorare la formazione dei medici e degli operatori sanitari anche sul piano della comunicazione con il paziente. Anche grazie agli studi sulla neurobiologia degli effetti placebo, si sa che la qualità psicologica della relazione medico-paziente, che genera fiducia, torna a essere importante e benefica per i pazienti. Su questi aspetti della medicina si deve lavorare, ma in modo non improvvisato o pensando che la psicologia possa sostituire completamente le competenze. Ma non è sufficiente. Occorre creare le condizioni culturali perché i cittadini non cadano preda degli inganni tesi loro dagli innumerevoli ciarlatani o truffatori che ronzano intorno alle famiglie colpite da gravi sofferenze.

Anche qui può aiutare la cultura. Non è più sensato né utile socialmente che uno studente giunto al termine della scuola secondaria conosca magari benissimo la trigonometria, ma non sappia nulla di probabilità o che cosa è un trial clinico. Diversi studi stanno segnalando da anni che il livello di conoscenze e abilità dei cittadini italiani è pericolosamente sceso sotto le soglie necessarie per far funzionare e capire i vantaggi di una democrazia avanzata e sostenuta da un'economia della conoscenza. La vicenda Stamina tocca temi e problemi, quelli delle frontiere della salute e delle malattie o della medicina rigenerativa, che sfideranno le moderne società sviluppate e i rapporti tra queste e quelle in via di sviluppo. La lezione più urgente che ne dovremmo trarre è di attrezzare cognitivamente i nostri figli e organizzarci per farci trovare culturalmente preparati.

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