Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2014 alle ore 08:50.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:59.

My24

«Noi abbiamo la qualità, la bellezza, il patrimonio culturale. C'è una grande operazione da fare: quella di tutela e valorizzazione. Questa mattina, all'uscita dal Quirinale, scherzando ho detto che mi avevano chiamato a guidare il più importante ministero economico di questo Paese». Così diceva il 22 febbraio scorso il neoministro dei Beni culturali Dario Franceschini, aggiungendo frasi di grande apertura rispetto alla necessità di un sostanzioso coinvolgimento da parte dei privati nella gestione del patrimonio culturale pubblico.

I nostri lettori avranno immediatamente riconosciuto, in quelle parole, una chiara eco del messaggio che avevamo lanciato due anni fa con il Manifesto per la Costituente della cultura («Niente cultura, niente sviluppo», 19 febbraio 2012) e che abbiamo approfondito durante le prime due edizioni degli Stati Generali della Cultura in un dialogo serrato con le istituzioni e le massime cariche dello Stato. Memorabile è stato, il 15 novembre 2012, il discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha richiamato la politica alle precise responsabilità cui era venuta meno nei decenni precedenti, definendo la cultura, dal punto di vista dei decisori pubblici, «una scelta di fondo troppo a lungo trascurata».

Da allora bisogna riconoscere che qualche cosa è accaduto, prima un po' più timidamente, e ora con un passo che sembra sempre più deciso. Benché durante la campagna elettorale del 2013 nessun candidato premier abbia mai neppure lontanamente evocato temi di carattere culturale (segno che, per la politica, la cultura non porta voti e dunque preferisce guardare alla pancia piuttosto che alla testa del Paese), non si può non riconoscere l'impegno del Governo Letta e del ministro Bray, sostanziatosi nel decreto Valore Cultura, che ha rappresentato, dopo molti anni di decisioni sporadiche e prive di visione strategica, un tentativo di affrontare complessivamente i temi, i problemi e le emergenze riguardanti questo settore decisivo, relativi all'industria culturale, alla tutela e valorizzazione dei beni culturali (e dunque a Pompei e ad altre aree archeologiche), fino alle fondazioni liriche, a cinema, teatro e alla digitalizzazione delle biblioteche e del patrimonio artistico.

È su questa linea di azione che si è mosso, con maggiore decisione, Dario Franceschini, con un nuovo decreto, firmato dal Presidente Napolitano il 31 maggio scorso. Il decreto contiene una serie di misure per il settore dei beni e delle attività culturali e per quello turistico. In particolare – ed è questa la novità più importante – introduce un credito d'imposta, l'«Art bonus», del 65 per cento per le donazioni a favore di interventi di manutenzione e restauro di beni culturali pubblici; musei, siti archeologici e biblioteche pubblici; teatri pubblici e fondazioni lirico sinfoniche.

Senza dubbio si tratta di uno strumento che potrà rivelarsi decisivo, anche se necessita di alcuni aggiustamenti e bisognerà capire in che modo il governo intende conferirgli efficacia. Si aggiunge ad altri strumenti che già esistevano. Per esempio la Carta di Urbino, il protocollo d'intesa tra Soprintendenza, Stato e Assindustria che è stato stilato nel 1995. Già allora si prevedeva una formula snella nella gestione degli interventi dei privati nella tutela e valorizzazione del patrimonio. La Soprintendenza detiene l'onere di indicare gli interventi, gli industriali e i privati mantengono il diritto di rendere visibile l'intervento con modalità concordate con la Soprintendenza. Un modello facile che però non si è diffuso capillarmente come invece ci si aspettava allora. Perché?

In questo momento, con i nuovi strumenti a disposizione, servono accordi solidi (deve essere chiara l'identità di chi coordina gli interventi e lo Stato deve assumere un ruolo forte) e leggeri allo stesso tempo, capaci cioè di liberare l'impresa da impicci burocratici inutili e fastidiosi. Solidità e leggerezza implicano entrambe la necessità di ripristinare un clima di fiducia e sono i due piani su cui può avvenire un concreto avvicinamento tra industria e arte. «La complementarità pubblico/privato, – diceva il nostro Manifesto – che implica una forte apertura all'intervento dei privati nella gestione del patrimonio pubblico, deve divenire cultura diffusa e non presentarsi solo in episodi isolati. Può nascere solo se non è pensata come sostitutiva dell'intervento pubblico, ma fondata sulla condivisione con le imprese e i singoli cittadini del valore pubblico della cultura».

Gli Stati Generali della Cultura, oggi alla loro terza edizione, vedono la partecipazione, tra gli altri, di due ministri decisivi: lo stesso Franceschini e il ministro dell'Università e della Ricerca Stefania Giannini. Un'occasione per provare a stringere, con la massima concretezza, un patto duraturo, scevro da ideologismi, tra tutti i soggetti necessari alla rinascita culturale del nostro Paese.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi