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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2014 alle ore 14:05.
L'ultima modifica è del 29 giugno 2014 alle ore 14:18.

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L'azione di politica economica dell'Italia, dopo le parziali aperture emerse in sede Ue per una interpretazione più flessibile del Patto di stabilità e crescita, non può non fondarsi su misure forti per l'abbattimento del debito e progetti in grado di mobilitare risorse per lo sviluppo.

1 - Riduzione del debito. La premessa è che la via maestra per abbattere il debito è accrescere il potenziale di crescita dell'economia. Agire sul "denominatore" significa ridurre il passivo senza ricorrere a nuove manovre correttive con effetto depressivo. In sede europea e riforme alla mano, sul Fiscal compact va conquistato un timing più flessibile di rientro del debito. Ma l'Italia deve fare la sua parte con misure strutturali e una tantum, queste ultime tutte mirate a rimpolpare il fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. L'Esecutivo intende abbattere lo stock del debito pubblico (oltre 2.140 miliardi lo scorso aprile) con privatizzazioni e dismissioni di immobili pari allo 0,7% del Pil all'anno dal 2014 al 2017. Bisogna velocizzare e fare di più, estendere la portata delle cessioni degli immobili della Difesa e degli enti locali (il cui censimento è ancora incompleto) mettendo in moto un circolo virtuoso tra Invimit (la Sgr immobiliare del Tesoro), l'Agenzia del Demanio e la Cdp. Va allungata la lista delle società da privatizzare nei settori dove la mano pubblica rallenta la crescita con inefficienze, sprechi, eccessi burocratici, clientelismo.

Oltre a Fs e Poste, guardare anche alla Cdp. Oltre a Enav e Fincantieri, colossi come Eni, Enel, le Reti. Vanno drasticamente tagliate le 8.000 partecipate pubbliche che producono perdite per 1,2 miliardi (fonte Cottarelli). Potrà servire un'operazione contabile per ridurre lo stock del debito fino a 50 miliardi: basterà trasferire all'Esm il debito dell'Efsf. Il debito/Pil italiano scenderebbe al 128% dal 135% circa quest'anno scomputando il contributo ai piani di salvataggio europei (50 miliardi) e il pagamento dei debiti pregressi della Pa (60 miliardi).

2 - Fisco più semplice, drastica riduzione del cuneo fiscale. Sul fronte fiscale la prima necessità è quella di dare piena e puntuale attuazione entro l'anno alla legge delega che è stata approvata dal Parlamento, rafforzando la politica di semplificazione degli adempimenti. Sul fronte dei controlli occorre una disciplina organica per l'abuso del diritto e rivedere le regole sui controlli per renderli il più possibile mirati. Si deve continuare con maggiore decisione nella riduzione del cuneo fiscale e dell'Irap che grava sulle imprese (per un corrispettivo di 10 miliardi): un segnale forte deve arrivare già dalla legge di stabilità. La copertura andrebbe individuata per 5 miliardi dal potenziamento della spending review nel 2015 (innalzandola da 17 a 22 miliardi) e per altri 5 dai proventi sottratti all'evasione fiscale e dal "dividendo" da spread (da quantificare nel corso del prossimo anno, nella fondata aspettativa che il differenziale con i bund tedeschi prosegua nell'attuale trend discendente).

3 - Lavoro più flessibile. Dopo le importanti novità introdotte con i contratti a termine senza causale, il Governo deve continuare nella linea di flessibilizzazione dei contratti a tempo indeterminato. Il Ddl delega di riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali dovrà garantire, entro fine anno, il varo dei primi decreti delegati. Il contratto unico a tutele crescenti non deve essere sostitutivo di tutte le forme contrattuali esistenti e deve contenere una componente di flessibilità che dia certezza al "costo di licenziamento". Bisognerebbe mettere ordine e dare certezza agli incentivi alle assunzioni presenti oggi, soprattutto sul versante contributivo. Quello più "ricco", per gli under 29, ha una dotazione finanziaria di 800 milioni a esaurimento. Finisce al più tardi nel giugno 2015. Andrebbero affiancati, inoltre, con forme di credito di imposta sia per nuove assunzioni che per la stabilizzazione dei rapporti di lavori a carattere temporaneo.

4 - Debiti Pa. Entro il 21 settembre, come promesso dal premier, vanno pagati i 60 miliardi di debiti arretrati della Pa: l'operazione ha aumentato finora lo stock del debito pubblico (concorrendo quest'anno fino a 35 miliardi di aste di titoli di Stato nel programma di emissioni lorde da 470 miliardi previsto dal Tesoro) ma migliorerà la crescita (il Mef prevedeva +0,2%, +0,7% e +0,3% di Pil per gli anni 2013, 2014 e 2015). Finora il percorso verso il saldo del monte debiti pregressi - 47 miliardi stanziati dai Governi Monti e Letta a cui si aggiungono i 13 del Governo Renzi - è andato troppo a rilento visto che secondo l'ultimo censimento di fine marzo scorso sono stati effettivamente pagati alle imprese 23,5 miliardi. Ma l'impegno dell'Esecutivo deve estendersi anche ai nuovi pagamenti su cui la Pa continua ad accumulare ritardi visto che in media impiega 180 giorni per saldare le fatture mentre le nuove regole Ue entrate in vigore nel 2013 prevedono che non si superino 30-60 giorni. Bisogna saldare i conti delle spese in conto capitale (Ance stima 19 miliardi di cui 7 pagati), penalizzate con le ultime destinazioni di fondi: è importante ottenere da Bruxelles lo scomputo di questi pagamenti dal calcolo del deficit.

5 - Industrial compact italiano. Si deve mettere a punto una strategia di politica industriale che rilanci l'innovazione e la manifattura. Il credito d'imposta per gli investimenti in ricerca, approvato con il decreto Destinazione Italia, è ancora fermo: manca il decreto attuativo che stanzia i 600 milioni previsti. L'agevolazione andrebbe poi potenziata con più risorse, come era stato anche annunciato dal premier Renzi, eliminando l'attuale vincolo che limita il bonus agli investimenti incrementali su quelli dell'anno precedente. Vanno poi garantite le risorse per far girare a pieno regime gli sconti previsti, nella Sabatini bis e nell'ultimo decreto competitività, per l'acquisto di macchinari e attrezzature produttive. Bisogna attuare le misure di liberalizzazione del credito per favorire canali alternativi a quello bancario (assicurazioni, fondi, cartolarizzazioni, mini-bond), aumentando la potenza di fuoco del Fondo di garanzia. Misure di sostegno all'internazionalizzazione e al made in Italy e di attrazione degli investimenti in Italia.

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