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Sono nato bandito, vita e misfatti del Bel Renè

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2010 alle ore 18:59.

«Sono nato bandito, e questo so fare» disse di sé il Bel Renè. Con 4 ergastoli sulle spalle quella di Renato Vallanzasca è stata davvero una carriera -del crimine- di "tutto rispetto". E sì perché Renato il bello - pupilla cerulea e baffetti da sparviero direbbe certamente la Marina Dante delle Povere di Drivinina memoria - a suon di sequestri, omicidi, rapine ed evasioni rocambolesche intorno a sè riuscì a costruire un vero mito del losco, con migliaia di donne pazze di lui a scrivergli lettere infuocate in carcere. Quando si dice il fascino del malvagio...

Ma andiamo per gradi, anche perché la carriera criminale di Renato Vallanzasca iniziò prestissimo. Ad appena 8 anni, correva l'anno 1958, cercò di liberare gli animali del Circo Medini che aveva messo le tende a poca distanza dalla casa di sua madre nel quartiere milanese di Lambrate. I carabinieri lo prelevano e per lui si spalancano le porte del carcere minorile Beccaria. Ha già alle spalle numerosi furtarelli ai danni di grandi magazzini e negozi di quartiere. Va ad abitare con una zia in Giambellino e inizia a collaborare con la mala della Banda della Comasina. Mette a segno numerose rapine ai danni delle ville della Milano bene nei ritagli di tempo che lo vedono entrare e uscire dal Beccaria. Nel 1969 viene recluso a San Vittore per aver svaligiato un portavalori. Con i soldi che ha messo da parte, uscito dal carcere apre dei negozi con il fratello e comincia a darsi alla bella vita fra auto lussuose, vestiti alla moda e belle ragazze.

Intanto è diventato l'indiscusso capo della banda della Comasina. Ma nel 1972 subisce un nuovo arresto e viene tradotto a San Vittore. Per il suo comportamento violento verrà trasferito in decine di carceri diverse, finché grazie a uno stratagemma -si procurerà l'epatite mangiando uova marce e cibi scaduti e iniettandosi urina- riuscirà a farsi ricoverare in ospedale e quindi fuggire. Tornato in pista, riorganizza la sua banda e alza il tiro. Prima uccide un poliziotto a un posto di blocco, poi un impiegato di banca, quindi un medico, un vigile e tre poliziotti. Nel 1976 rapisce la figlia di un industriale milanese, Emanuela Trapani: ottenne un riscatto da un miliardo di lire d'allora.

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Fermato a un posto di blocco a Dalmine fredda due poliziotti e fugge a Roma. Lo trovano in un covo ferito a una gamba e lo arrestano. Ha appena 27 anni e una scia di sangue ormai lunghissima. Due anni dopo a San Vittore, sposa Giuliana Brusa. Un anno ancora e tenta una fuga rocambolesca che però fallirà miseramente. Nel 1981 è nel carcere di Novara quando scoppia la rivolta a cui contribuisce attivamente. Nel carcere ucciderà un suo ex compagno di mala, Massimo Loi, che ha deciso di collaborare con gli investigatori: gli taglierà la testa, e per il Bel Renè sarà l'inizio del carcere duro.

Nel 1987 fugge dall'oblò della nave che lo sta portando all'Asinara. Lo beccano poche settimane dopo ma non si arrende. Nel 1995 tenta ancora di fuggire da Bad'e Carros, il super carcere di Nuoro. I sospetti sui complici cadono sulla sua avvocatessa, con cui si sussurra abbia imbastito una relazione. Lo portano nel super carcere di Voghera. Continua a ricevere lettere dalle sue ammiratrici. Nel 2005 ottiene un permesso per incontrare l'anziana madre. Inoltra, dirà proprio per l'anziana donna, la richiesta di grazia che verrà respinta. Continuerà a scontare la pena nel carcere di Opera. Nel 2008 sposa un'amica di infanzia, Antonella d'Agostino. Nel 2008 gli concedono di uscire dal carcere per lavorare presso una pelletteria gestita da una cooperativa sociale.

Da qualche anno ha anche un blog a suo nome. Nel 1977 Mario Bianchi girò il film sul La Banda Vallanzasca. Ultimo arrivato nel racconto di quest'uomo a cui si attribuiscono 7 omicidi è Michele Placido. Descrivendosi, non senza una vena di nera ironia, Vallanzasca ha detto di sé : «C'è chi nasce sbirro, io sono nato ladro». Surreale il Bel Renè: ladro, assassino, ergastolano, tombeur de famme. Il soggetto giusto per un film, ma da maneggiare con cura.

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