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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 17:25.
«Il vero nodo è il chi organizza gli spazi pubblici». Non ha dubbi il filosofo Gianni Vattimo nel rispondere ai quesiti posti da Christian Raimo sulle pagine del nostro giornale sull'esistenza di uno spazio pubblico per la cultura in Italia. «Chi è l'istitutore di questi spazi - rilancia provocatoriamente Vattimo - perché se, per esempio, Il Sole24ore apre lo spazio è anche chiaro che ne detenga le chiavi di accesso».
Lei ritiene che occorra perciò meglio parlare di una pluralità di spazi pubblici?
«Certamente gli spazi pubblici per il dibattito culturale debbono essere svariate tv, giornali e accessi. Poi io stesso scelgo i miei interlocutori per affinità, ma solo se esiste un pluralismo non finto si crea un vero spazio. Diversamente...»
Diversamente ci dica... anche definendo la sua idea di spazio pubblico.
«In Spagna c'è un giornale Publico che è uno spazio del governo che io leggo regolarmente perché tutti gli altri sono di editori non favorevoli alla sinistra di Zapatero».
Non rischia, quindi, proprio il controllo pubblico di farla cadere in contraddizione?
«Guardi all'esempio di Telegrapho in Equador. Stava fallendo ed è stato nazionalizzato. Il governo ne è azionista di maggioranza. Di proprietà pubbblica e quindi più pubblico, anche se certo si sa che è poi ben difficile separare il pubblico dalle proteste e posizioni del Governo in carica. La Rai pubblica ha una Commissione di vigilanza che è il massimo che si possa creare, anche se il Parlamento non è poi quello con tre "p" maiuscole. Putroppo l'equilibrio è davvero difficile. Il nostro spazio, comunque, per essere tale deve essere di molti orizzonti, espressione di partiti, di gruppi finanziari che debbono poter confliggere senza assoggettarsi a nessun monopolio. Figuriamoci, dunque, se possa fidarmi di uno spazio aperto dal Sole24ore. Idem ovviamente se fosse anche il Manifesto: quando mai si pubblica tutto quel che gli scrittori o intellettuali che dir si voglia mandano ai giornali...»
Il vero limite è quindi nei conflitti di interesse?
«Ci possono essere leggi che li limitino. Noi oggi in Italia abbiamo la legge Gasparri che lascia tv e giornali nelle mani del premier Berlusconi. Bisognerebbe porre un limite alle concentrazioni, certo.»