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Ironico, impertinente e politicamente scorretto Ugo Tognazzi. Il ricordo della figlia

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2010 alle ore 16:31.

La supercazzola tapiatapioca come se fosse antani poteva avere lo scappellamento a destra o a sinistra, ma non era la sola variante. Poteva essere sussurrata davanti a un prelato come una preghiera, oppure strafottente e ammonitoria al vigile che stava facendo la multa, distratta all'usciere di uno stabile, sensuale e ardita all'amante focosa.

Il conte Mascetti, impersonato da Ugo Tognazzi, aveva reso malleabile la supercazzola, la presa in giro fatta di parole senza senso che i protagonisti della trilogia di «Amici miei»(1975, 1982, 1985) di Mario Monicelli usavano per stordire l'interlocutore, in modo che si adattasse a ogni evenienza. Nel conte Mascetti, Tognazzi aveva riversato tutta la sua duttilità di attore, o meglio di mattatore. Che Tognazzi - a cui la figlia Maria Sole dedica un documentario «Ritratto di mio padre», che sarà proiettato stasera in apertura del Roma film festival - fosse un bravissimo interprete, nessuno lo negava. Perfino i critici raffinati riconoscevano mestiere anche nelle vesti più grevi di certe parti politically uncorrect, come la presa in giro maccheronica dell'omosessualità nell'altra trilogia di cui fu protagonista: «Il vizietto» (1978, 1982 1985) di Eduard Molinaro.

Era politically uncorrect Tognazzi, se ne fregava di toccare questioni delicate se doveva fare dell'ironia. Un tratto di impertinenza che gli costò il posto in «Un due tre», varietà di grande successo che condusse assieme a Raimondo Vianello sulla Rai dal '54 al '60. Il suo ultimo sketch fu la simulazione con Raimondo della caduta del presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, avvenuta la sera precedente alla prima della Scala. Il capo dello Stato per fare un gesto da gentiluomo a una signora era capitombolato a terra, perché gli era stata sottratta la sedia accanto al presidente della Repubblica francese, Charles De Gaulle.

Tognazzi e Vianello osarono ciò che la stampa nazionale aveva taciuto. Tognazzi derise tutto e tutti, perfino gli anni di piombo, quando si fece immortalare su finte edizioni di noti quotidiani nazionali, ammanettato da poliziotti, che avevano riconosciuto in lui l'oscuro mandante delle brigate rosse. A chi protestò, denunciando il cattivo gusto nei confronti dei famigliari delle vittime e del clima pesante che si respirava allora, rivendicò «il diritto alla cazzata».

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Indimenticabili furono le funamboliche prestazioni in «I mostri» (1963) di Dino Risi con Vittorio Gassman. Una serie di ritratti, passati alla storia, di miserie umane, abbastanza italiote. Splendido anche il suo Annibale Doberdò in «La califfa» di Alberto Bevilacqua, con Romi Schnider. Fu anche regista di se stesso - per citare alcune pellicole: «Il mantenuto» (1961), «Il fischio al naso» (1966) - , ma con successo minore e negli anni ‘80 si dedicò al teatro con il pirandelliano «Sei personaggi in cerca d'autore» (1986) e in «L'avaro» di Moliere nel 1988.

Irriverente, aveva però una vena di malinconia negli occhi che mal si conciliava con il fisico esuberante, sanguigno che frenava il suo ingresso in ruoli più delicati. Eppure, e pochi lo ricordano, vinse la palma d'oro come migliore interprete maschile al festival di Cannes nel 1981 per «La tragedia di un uomo ridicolo» di Bernardo Bertolucci. La sua esuberanza fisica lo predisponeva a una comicità popolare, che sapeva scivolare senza falsi pudori nella volgarità e che divideva il pubblico tra estimatori e feroci detrattori. Per questo fu perfetto compare in «Un due tre» di RaimondoVianello, che anche per il fisico asciutto e allampanato, aveva all'opposto una verve elegante e un umorismo molto british. La sua vitalità, la sua prestanza si esprimeva anche nei piaceri della vita.

Era un gran donnaiolo, conquistava una signora e subito correva dietro alle sottane di un'altra. Tra le sue fiamme sfilano figure di ogni tipo: modelle, attrici caratteriste. Ma non per questo voleva essere single. Amava la famiglia allargata, tanto che ebbe molti figli. Con Pat O' Hara diventò padre di Ricky (che al festival di Roma presenta «Il padre e lo straniero»), dall'attrice norvegese Margaretha Robsham Thomas e da Franca Bettoja, Giammarco e Maria Sole. Adorava cucinare e la sua casa (il suo quartier generale era a Torvaianica, alle porte di Roma, dove possedeva numerose case) era piena di ricettari. Gli amici veri, Gassman, Salce, Monicelli, Villaggio, facevano da cavie alla sua tavola sempre piena di scherzi per gli invitati. Eppure tutta questa esuberanza, come spesso accade, nascondeva un male oscuro in cui Tognazzi scivolò negli ultimi anni della sua vita. Morì in silenzio e nel sonno di emorragia cerebrale il 27 ottobre di dieci anni fa.

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