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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2010 alle ore 19:00.
Nell'agosto 1945 Alcide De Gasperi tenne un discorso al Consiglio nazionale della Dc in cui ricordò che, a soli quattro mesi dalla fine della guerra di Liberazione, gli italiani si mostravano «stanchi dei partiti», in preda a una «atarassia dilagante». Negli stessi mesi un protagonista della lotta partigiana come Emilio Lussu notava amareggiato che il «"partito del malcontento" in Italia era sempre esistito sin dai tempi "di Pasquino e Marforio"», e «si sarebbe potuto chiamare movimento o partito "piove, governo ladro!"».
Da allora sono trascorsi oltre sessant'anni e oggi molti guardano a quel passato ormai lontano con un sentimento di nostalgia troppo spesso acritico che induce a contrapporre meccanicamente l'età dell'oro della partecipazione e della rappresentanza all'età bronzea dei tempi attuali, caratterizzati dalla disaffezione politica e dalla perdita di autorevolezza dei partiti. Per sfuggire i rischi insiti in ogni processo di idealizzazione, l'altra faccia della rimozione, è utile leggere le memorie dei protagonisti di quella stagione che hanno il merito di restituire le difficoltà di un percorso compiuto e le sfide affrontate per assorbire la mala pianta del qualunquismo e dell'antipolitica. Due costanti antiche e profonde della storia nazionale, alimentate dal regime fascista e incrostatesi nel corso della crisi degli anni Settanta, che si immaginano sempre nuove e inarrestabili quando è la politica stessa a scegliere di cavalcarle per intima debolezza o esibita furbizia.
A questo proposito, il nuovo libro del presidente emerito della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi Non è il paese che sognavo. Taccuino laico per i 150 anni dell'Unità d'Italia fa perfettamente al caso nostro. Il volume, risultato di un colloquio appassionato con il vicedirettore del Sole 24 Ore, Alberto Orioli, non è una tradizionale intervista biografica, ma un viaggio attraverso i simboli, le sfide, le speranze, le delusioni, le malinconie, i bilanci, i luoghi del cuore dell'Italia; un dono di riflessione e di sapienza che Ciampi offre ai suoi lettori in occasione dell'anniversario dell'unità nazionale, alla vigilia dei suoi novant'anni. Ma qual è l'idea di Italia che promana da queste pagine? È l'Italia del Risorgimento e della Resistenza, quella della ricostruzione e dell'aggancio all'euro, uno straordinario paese crocevia di culture, di popoli e di lingue, capace di raggiungere l'unità politica grazie alla sfida di un manipolo di sognatori che decisero di farsi patrioti, rischiando la prigione, l'esilio e la vita. E poi, proprio come fece Ciampi durante la lotta di liberazione, scelsero di difendere, dopo l'8 settembre 1943, l'onore della nazione ferita e tagliata in due: non fu dunque quella data la «morte della patria», ma «il compleanno» della nuova Italia. Lo spirito di Ciampi è imbevuto soprattutto della cultura repubblicana di Mazzini e della sua idea volontaria di patria che «non è un aggregato, è un'associazione», ma il protagonista che più ammira sul piano storico è Cavour «l'unico uomo davvero europeo del Risorgimento», non astratto riformatore, ma in grado di intuire «il limite e le condizioni» dell'agire politico come nessun altro.