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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 17:10.

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Nelle sale arriva lo sconvolgente «Kill Me Please», film vincitore dell'ultimo Festival di RomaNelle sale arriva lo sconvolgente «Kill Me Please», film vincitore dell'ultimo Festival di Roma

Quando un premio ti cambia la vita: è il caso di «Kill Me Please», film vincitore del Marco Aurelio d'Oro all'ultimo Festival di Roma. Girato in sole tre settimane, con un budget bassissimo e una troupe ridotta all'osso, «Kill Me Please» difficilmente sarebbe arrivato nelle nostre sale senza aver ottenuto il riconoscimento più prestigioso della kermesse capitolina.
Il merito è della casa di distribuzione Archibald che ha creduto fin da subito in questo interessantissimo prodotto, che rappresenta certamente l'uscita più importante di questo weekend.

Diretto dal francese Olias Barco, al suo secondo lungometraggio dopo lo sconosciuto «Snowboarder» del 2003, «Kill Me Please» è ambientato interamente in una clinica belga, ispirata a un istituto realmente esistente, dove il primario (il dr. Kruger) accoglie soltanto pazienti con particolari manie suicide: cercherà di dissuaderli in ogni modo ma, in caso di insuccesso, è pronto a somministrare ai suoi assistiti una morte «dolce» preceduta dalla realizzazione del loro ultimo desiderio.

Opera cinica, estrema e sconvolgente, «Kill Me Please» riesce a trattare con grande sensibilità, accompagnata paradossalmente a un umorismo nero e surreale, un tema particolarmente delicato come quello dell'eutanasia.

Un'ottima fotografia, realizzata con un bianco e nero dai toni neutri e quasi asettici (simili a quelli de «Il nastro bianco» di Michael Haneke), riesce a trasmettere perfettamente quel senso d'inquietudine e di vuoto che si trovano a vivere i bizzarri ospiti della clinica del dr. Kruger.

Il regista è bravo a mantenere un ottimo equilibrio formale anche nel deciso cambio di registro che avviene nella seconda parte: dalle sequenze statiche e (per quanto possibile dati i temi trattati) rilassanti dell'inizio si passa a scene sempre più movimentate, segnalate da un montaggio dinamico e serrato, nel momento in cui gli abitanti di un villaggio vicino decideranno di distruggere quella «fabbrica di suicidi».

Dai decessi «dolci e felici» somministrati dal Dr. Kruger si passa all'estrema violenza degli omicidi della parte finale dove Barco ha voluto rappresentare, attraverso una riflessione davvero significativa, quali veri orrori si celino dietro gli attimi che precedono la morte: quei personaggi, vittime di un narcisismo sempre più tipico della società occidentale, che vedevano la fine della propria vita in maniera futile e superficiale (come una necessaria conclusione della depressione, reale o presunta, in cui erano incappati) si troveranno costretti a terminare la propria esistenza in modi tragici e spaventosi, molto distanti da quelli che avevano sempre sognato.

«Kill Me Please»

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