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Albanese ci spiega i sondaggi che gli danno il 9,1%: «Fantascienza! Ma il mio Cetto intercetta la realtà»

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 19:33.

«Ma guarda che cosa è capitato…», ridacchia Antonio Albanese quando gli vengono messi sotto il naso i risultati del sondaggio dell'osservatorio politico nazionale Lorien per Formiche, che su un campione di 600 persone il 13 e il 14 gennaio scorso ha verificato la credibilità del possibile candidato Cetto La Qualunque alle prossime elezioni politiche.

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Cetto, il personaggio inventato da Albanese otto anni fa, già noto per le sue comparsate in teatro e alla trasmissione televisiva "Che tempo che fa", diventa ora il protagonista del film "Qualunquemente", nei cinema da venerdì 21 gennaio. Man mano che apprende i risultati sgrana gli occhi: il 22,7% lo conosce, il 60,3% dà un giudizio positivo, ma la bomba arriva con il 9,1% , la percentuale delle persone che lo voterebbe. «Scusa, scusa», cerca di soffocare una risata, mentre si allarga sul viso un'espressione di incredulità. Incredibile eh? «Beh, non incredibile» e si fa serio. «Questa è vera fantascienza». All'ultimo dato, quello che profila l'aderenza del suo Cetto alla realtà, secondo cui il 74,1% degli intervistati lo ritiene molto verosimile, commenta con piglio serio: «Beh, sono molto orgoglioso di questo perché è vent'anni che lavoro, vado per la mia stradina, non mi faccio condizionare, se avessi ascoltato certi consigli sarei ora al "Grande fratello". Assieme ad autori e giornalisti amici – io sostengo che i giornalisti sono gli unici a raccontare il nostro tempo - cerchiamo di guardare il nostro tempo con attenzione. Ma forse lo devo soprattutto alle mie origini operaie: l'arte deve essere popolare e devi avere anche la possibilità di conoscerla. C'è una certa fetta della cultura italiana che questo lo dimentica, sono i primi relegati a parlare solo a determinate persone. Noi vogliamo parlare a tutti, vivere la gente, frequentarla con serenità, molto interesse e gioia. Non aprire solo una finestrina, ma di spalancare a 360 gradi tutte le finestrine».

E infatti Cetto esprime tutte le pulsione basilari, per lo più animalesche, dell'essere umano: dall'attrazione per lo sfarzo, alla mascolinità esibita, al disprezzo per le donne che considera solo come degli oggetti, all'avversione per la legalità. Non a caso uno dei suoi slogan è: «Basta con la disoccupazione! Basta con il carovita! Basta con la giustizia!». Cetto, candidato sindaco alle elezioni del suo paese in Calabria, le vince, ma con i brogli e questo comunque fa capire che la gente in generale è molto migliore del suo Cetto, che sarà spregevole, ma è terribilmente schietto. «Devo dire grazie alle mie origini operaie».

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E allora Visconti? «E infatti tendenzialmente Visconti ha raccontato una parte del paese altolocata… Per esempio uno dei film più belli in assoluto, "Il gattopardo", fatto in quel modo straordinario, con quel monologo che è riuscito a pareggiare la bellezza del film , però… ha attratto solo una parte della nostra società e va bene così, è un film capolavoro, ma lui non raccontava il suo tempo. Si è servito di un libro universale che è sempre attuale, ma che era scritto da un altro signore. È stato molto bravo a riconoscere quel libro e a valorizzarlo, soprattutto a livello estetico, ma se parliamo di sociologia o quello che ci gira intorno, in quel momento onestamente, non è veramente sociologicamente rappresentativo … Visconti arriva da quel mondo, da quell'eleganza e quella nobiltà. Io non invidio mai quelle nascite, perché ti perdi delle emozioni e una gioia profonda… E come quando vieni allattato al seno e guadagni più anticorpi…». Albanese ha, quando pronuncia la parola anticorpi, un sorriso carezzevole. Parla velocemente, ma senza mai perdere il filo del discorso, con la gestualità in cui si riconoscono certi suoi personaggi: Alex Drastico, Frengo e stop, il ministro della paura, Epifanio. Anche se, certo, meno esasperata.

Ma torniamo ai risultati del sondaggio: il 9,1% voterebbe oggi, se ci fossero le elezioni politiche, Cetto La Qualunque. «No, no, no, non mi interessa, questa è fantascienza, è Matrix», dice Albanese con decisione, come se gli si volesse accollare un etichetta che rifiuta. Lui e il regista, Giulio Manfredonia, hanno appena finito di ripetere che il loro non è un film politico, è un film fumetto, che la sceneggiatura era pronta tre anni fa e non ha niente a che fare con gli scandali sessuali che coinvolgono la politica in questi giorni. «Pensa che un anno fa dicevamo: guarda che colpo se fosse stato pronto adesso … e sei mesi fa ci mangiavamo le mani e dicevamo… pensa se fosse pronto adesso… E sono sicuro che se lo avessimo presentato tra sei mesi avremmo detto "che gran c… che esce adesso". L'ho già detto e ripetuto: questo è un film comico. Smettiamo di volergli dare un etichetta». E torna alla carica: «Sai come è nato il personaggio di Cetto? Piero (Guerrera, uno degli sceneggiatori n.d.r) mi ha raccontato una scena a cui ha assistito. Un bambino di dieci anni sullo stretto di Messina guarda una barca a vela ed esclama: "Papà, papà guarda la barca a vela!" e quello gli risponde: "Fatti i cazzi toi"».

Ma tornando ai risultato del sondaggio… «Forse riesco a interpretare il nostro tempo perché sono attento, vado a teatro, questa è la comicità». A proposito della comicità, i film di questo genere stanno andando benissimo al botteghino. Anche se allora i personaggi erano per lo più perdenti, si può forse parlare di una nuova commedia all'italiana, come quella che ci ha reso famosa l'Italia negli anni Sessanta? «Lo dice la parola stessa, si parla di commedia degli anni Sessanta. Il tempo cambia e muta anche la morfologia delle persone, figurati il carattere, il pensiero e le condizioni. Le nostre di condizioni sono quelle di alterare, esasperare, rendere ridicolo il vincente. Abbiamo portato fino in fondo la missione e siamo stati coraggiosi in questo. La commedia all'italiana è da amare e ricordare con gioia, ma sono gli anni Sessanta, non c'era il computer, otto miliardi di cose, tua madre si vestiva in un altro modo. Milano era diversa. È importante. La politica era diversa, c'era una morale e un'etica diversa. Il film cerca di rendere ridicolo un certo tipo di politica, la sua caduta morale. Ma il suo punto nevralgico è il rapporto tra Cetto e il figlio».

Melo, questo è il nome del figlio di Cetto, grazie forse all'assenza del padre, latitante per quattro anni, cresce delicato, attratto dall'arte, con una fidanzata senza curve con cui si scambia dolcezze. Per il padre questi sono segni di incredibile fragilità. «Ho visto che porti il casco», dice nel film a un certo punto Cetto a Melo. «Guarda che ti prendono per ricchione, non farlo mai più, io ho una certa credibilità in paese».

«Ci sembrava importante guardare alle nuove generazioni», sottolinea Albanese. Ma se le generazioni crescono con i valori di Cetto, allora è un cane che si morde la coda… Come spezzare la catena? «Uno dei modi è cercare di rendere ridicoli i personaggi che esaltano questi valori. Credo che la nostra sia la prima commedia dove un personaggio vince, ma è ridicolo dall'inizio alla fine. Io credo nell'intelligenza ma anche nell'ironia del mio pubblico e questa cosa viene captata, soprattutto in tivù».

Visto l'aspetto, anche vostro malgrado politico, sarà un film che interesserà il cosiddetto ceto medio riflessivo impegnato? «Non credo. Il personaggio di Cetto nasce otto anni fa e l'ho portato anche a teatro, dove il pubblico era assolutamente eterogeneo, dal ragazzino al professore universitario. C'è nel personaggio una facilità comica con un gestualità, con le parole» e qui Albanese si sbraccia con le mosse tipiche di Cetto con frasi ("cchiù pilu per tutti") che vengono apprezzate. «È arrivato il momento di fare capire che questi personaggi sono brutti, si vestono male, usano le donne malissimo. Questo film è un omaggio al nostro paese e alle donne. Noi vogliamo prendere in giro questa politica che è gestita e rappresentata da persone insignificanti e ridicole».

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