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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2011 alle ore 13:52.
La manifestazione in piazza non ci sarà, ma la data di beatificazione per David Foster Wallace – lo scrittore di culto (appunto), morto suicida nel settembre 2008 all'età di 46 anni – è fissata: aprile 2012. Quando apparirà, pubblicato dall'università dello Iowa, un volume dal titolo The Legacy of David Foster Wallace, che conterrà, in pratica, il dossier completo dei «miracoli letterari» dell'autore, compilato da una serie di studiosi che imprimeranno il sigillo dell'accademia e con contributi (utili per il lancio pubblicitario) di autori come Don De Lillo e Jonathan Franzen, l'ex rivale pronto a seppellire la penna di guerra. La procedura accelerata della canonizzazione americana di Foster Wallace era in verità iniziata in vita e proseguita subito dopo la morte, con sparuti saggi, uno dei quali, però, dal titolo rivelatosi profetico: Morte di un autore, nascita di un campo di studi.
E fa il paio con quella che da qualche anno (complice un'abile operazione dell'agente letterario Andrew Wylie) si sta verificando, sempre in America, del cileno Roberto Bolaño: lo scrittore (di livello) sulla cui grandezza, in questo momento storico, tutti sarebbero disposti a giurare, compresi quelli che non lo hanno mai preso in mano.
Ci sono buone probabilità che la loro luce, nel firmamento letterario, sia destinata a diventare quella di una meritata aureola, anche se, ed è capitato spesso, ciò che a prima vista sembra una stella fissa si riveli, a distanza di (poco) tempo, solo un fugace brillio di meteora. Certo, ai due scrittori in questione, giova il fatto di essere defunti: nel tritacarne della critica, l'autore morto ha l'indubbio vantaggio di non poter smentire con opere deboli l'apertura di credito concessa a inizio carriera.
I casi sono molti. E, senza entrare troppo nel merito della qualità, si può provare a nominarne alcuni. Per vedere l'effetto che fa.
Chi ricorda oggi, per esempio, Jay McInerney? Il suo Le mille luci di New York (1984) segnò una stagione, anche in Italia, di attenzione verso un certo tipo di narrativa. E ha dato origine, per dire, a uno scrittore che a McInerney deve molto, Bret Easton Ellis, ma che ora appare di gran lunga più significativo. O David Leavitt: dopo il Ballo di famiglia (1984) è finita la musica e gli amici se ne sono andati. E che dire di nomi e correnti che ai più giovani faranno alzare le spalle: Tama Janowitz, le pornografe alla Alina Reyes o Almudena Grandes, imprescindibili nelle conversazioni dell'epoca, oggi meritatamente dimenticate. E il realismo magico post-Márquez? I narratori della decadenza mitteleuropea?