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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2010 alle ore 19:26.

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Per secoli, quello che abbiamo scritto o letto e i libri sono stati una cosa sola. Così oggi è facile dimenticare che il libro è solo una delle tecnologie che permettono di raccontare una storia. Nonostante questo, da quando i testi sono passati dalla pagina allo schermo, le nuove opportunità offerte dalla scrittura digitale hanno trasformato l'arte di raccontare. Il NewScientist ha avviato una ricerca coinvolgendo scrittori, scienziati e artisti per indagare le conseguenze che la letteratura elettronica avrà sui libri. E su noi stessi, sul nostro cervello.

I neuroscienziati John Bickle and Sean Keating indagano un'ipotesi suggestiva: le forme di narrativa digitale non lineare potrebbero fornire nuovi input per il funzionamento delle aree del cervello, riconducibili all'emisfero sinistro, che si attivano quando raccontiamo una storia. Anche la nostra storia.

«Noi siamo - spiegano gli autori citando gli studi del neuroscienziato Michael Cazzaniga - le nostre narrazioni». Prendiamo coscienza del nostro "io" scrivendo con parole e gesti un "racconto" per amici, sconosciuti che incrociamo, persone amate. E per noi, attraverso discorsi interiori. L'insieme di tutte queste attività è il racconto di sé.

Ma se il cervello elabora il nostro "sé" in modo lineare, attraverso l'antica arte di raccontare storie, che cosa succederà al nostro cervello ora che i nuovi media digitali consentono e impongono di raccontare il nostro "sé" con modalità narrative nuove, non lineari? La risposta di Bickle e Keating sul NewScientist.

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