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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 00:37.

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La kermesse del vino italiano a New York (a cura di Mario Platero)

NEW YORK – Vino 2011 ha chiuso il suo expo a New York con questo bilancio: 450 aziende vinicole italiane di cui 250 venute direttamente dall'Italia e 80 produttori che non erano mai sbarcati in America che hanno avuto assistenza burocratica per entrare su questo mercato. La controparte americana è stata rappresentata da 300 buyers invitati dall'istituto dai 50 stati americani e altri 700 buyers giunti in modo autonomo. Assaggi con migliaia di persone, venti seminari, eventi mediatici e per la prima volta insieme al vino i superalcolici con il lancio di nove nuovi cocktail creati da un"mixologist" di Las Vegas.In questo contesto il vino italiano resta il primo in America, abbiamo il 30% del mercato contro il 24,5% della Francia. Per il nostro export significa 1,1 miliardi di dollari per il 2010, con una crescita del 10% in volume sul 2009. L'80% delle vendite riguarda il mercato di massa, al di sotto dei dieci dollari per bottiglia. «Il momento migliore per lavorare nel settore del vino italiano è adesso», dichiara Gary Grunner che conosce perfettamente storia e fortuna del vino italiano in America: da vicepresidente del grossista Grapes on The Go, vende da decenni negli Stati Uniti i prodotti delle uve italiane. Grunner è uno degli esponenti della "non sono più i tempi di quando qui c'erano solo il Chianti e il Lambrusco", dice Jon August Fredrickson, consulente e autore del Fredrickson Report, bibbia di chi segue gli aspetti finanziari del vino: «Oggi la scelta dei vini in un ristorante italiano è enorme». A essere diversi sono anche i consumatori americani, che bevono il doppio rispetto a quattro decenni fa, con 9.6 litri a testa.

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