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A Berlino gli yuppies dal volto umano di Margin call

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2011 alle ore 09:34.

Mentre Berlino si fermava dietro i passeggini di donne velate che capeggiavano un corteo di egiziani immigrati al grido di "Mubarak rauss!", ieri l'international film festival della capitale tedesca si è occupato molto di Occidente. Margin call, opera prima dell'americano J.C. Chandor, ha portato in primo piano la crisi che nel 2008 ha travolto Wall Street e l'intero sistema finanziario mondiale. Il film, che vanta un cast stellare da Kevin Spacey a Jeremy Irons, a Paul Bettany a Demi Moore, racconta le 24 ore precedenti al crack, che travolse come un domino l'economia mondiale.

La pellicola inizia con una panoramica su Manhattan, ma curvata, come a voler racchiudere i grattacieli in una sfera, alludendo il paragone con la bolla finanziaria. Le nuvole solo lontane e non minacciose e quando le prime ombre della sera avanzano, la telecamera si trasferisce all'interno di una non precisata banca. Un piccolo esercito di persone sta lasciando gli uffici con le proprie scartoffie, tra questi anche un alto funzionario, Eric Dale (Stanley Tucci), che prima di andarsene consegna una chiavetta contenente documenti al suo giovane collaboratore Peter Sullivan (Zachary Quinto), ma lo avverte di fare attenzione. Peter si mette al lavoro e qui inizia il thriller finanziario. Il giovane trader scopre qualche cosa di grosso, molto grosso: un buco il cui importo è pari almeno all'intero valore della banca in cui lavora.

Subito si attiva un'unità di crisi, si radunano i capi tra cui Kevin Spacey nel ruolo di Sam Roger e Jeremy Irons nei panni del faraone della finanza John Tuld. Le conseguenze sono quelle che possiamo toccare con mano nell'economia attuale. C'è però una volontà nel film di sottolineare il lato umano dell'alta finanza. "Mio padre ha lavorato per quarant'anni in un importante istituto di credito e ho cercato di capire cosa fosse passato loro nella testa in quel momento", ha spiegato Chandor, che è anche l'autore della sceneggiatura. "Non può essere tutto bianco e nero, questo non è un film manicheista. Mi chiedo: che cosa avreste fatto voi nelle loro condizioni, con una casa da pagare e moglie e figli alle spalle?", chiede Kevin Spacey, il cui personaggio ha un profondo moto di indecisione quando si tratta di iniettare il virus letale nell'economia. "Così distruggi il mercato, danneggi le famiglie", dice Spacey-Sam a un inossidabile Irons-John. "Dobbiamo sopravvivere", gli risponde Irons nel film, mentre nella realtà è molto più duro: "Abbiamo il dovere di cercare di combattere questa totale mancanza di etica, di moralità".

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In Margin call, comunque, non mancano riferimenti a quelli che sono i cliché dello yuppies del terzo millennio: guadagni astronomici, belle macchine, vita lussuosissima. "Quello che è immorale – continua il regista –, è permettere a queste società di cercare i talenti migliori nelle università, le persone più intelligenti e dotate, allettandole con grossi profitti e intrappolandole nel meccanismo. Per fare questo film noi tutti abbiamo passato molto tempo con funzionari di Wall Street. Sono individui estremamente creativi, ironici e intelligenti, che sprecano le proprie risorse".

La giornata ha preso una piega meno glamour con il secondo film in concorso, El premio, anch'essa opera prima di Paula Markovitch, film dolente sulle conseguenze della dittatura argentina, vista dagli occhi di una bambina. Una macchina da presa in perfetta armonia con le inclinazioni infantili.

Oggi torna invece di scena l'Italia con il film Gianni e le donne di e con Gianni Di Gregorio, che narra la quotidianità di un sessantenne, che non si rassegna a diventare invisibile davanti alle donne. Film delicato e ironico, da oggi nelle nostre sale.

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