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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2011 alle ore 14:54.

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La chiesa di Paganica (L'Aquila) gravemente lesionata in una immagine del 12 aprile 2009 (sinistra) e la situazione di oggi 2 aprile 2011 (destra) - AnsaLa chiesa di Paganica (L'Aquila) gravemente lesionata in una immagine del 12 aprile 2009 (sinistra) e la situazione di oggi 2 aprile 2011 (destra) - Ansa

Jutarramutu.it. Prima di tutto, consultate questo sito. Perché parla di un gran bel film documentario, perché lì troverete gli estremi di una legge d'iniziativa popolare nata dalla voglia di partecipazione e ricostruzione di una terra e di donne e uomini che hanno visto crollare le loro case e anche la democrazia. Ma che continuano a non voler rinunciare né alle une né all'altra. E lì, infine, troverete il modo di approfondire speculazioni e aberrazioni che da due anni martoriano una città, una terra in ginocchio.

Ju Tarramutu è, soprattutto, il titolo della nuova fatica di Paolo Pisanelli, uno di quei registi appassionati e caparbi che fanno la fortuna del documentario italiano. È lui che ci racconta da un'angolazione diversa la tragedia cominciata il 6 aprile 2009. Lo fa ad altezza di terremotato, mettendosi dalla parte di chi ha perso tutto, opponendo alle testimonianze civili e umane i maxi schermi, i plasma che invadevano le tendopoli, casse di risonanza della propaganda di governo, quando non erano "solo" armi di distrazione di massa. Uscirà, Ju Tarramutu, il 6 aprile, nel biennale del terremoto in Abruzzo, e deve la sua diffusione, in più di 20 città, alla ZaLab che già provvide al lungo e fortunatissimo viaggio di Come un uomo sulla terra.

Un'ora e mezza in cui cuore e pancia si attorcigliano attorno a uno scultore che ritrova i suoi gioielli o a una donna anziana che con dignità piange nel salotto di casa sua, vedendo come gli sforzi di una vita siano divenuti pareti fatiscenti, scoprendo quanto vicino la morte le sia passata vicino. Un'ora e mezza in cui quelle tendopoli che imprigionano più che accogliere si riempiono spesso delle parole vuote e non raramente stupide di un presidente del consiglio che suggerisce una sistemazione da campeggio di fine settimana. Un gioiello, Ju Tarramutu, che si inserisce nella già nutrita produzione post 6 aprile 2009 e che brilla per originalità e umanità.

«È nato da dentro, per istinto più che per ragionamento- racconta il regista- è un documentario che ho scritto girando, questo è uno di quegli eventi che ti travolge. All'inizio, forse, voleva essere una sorta di esorcismo a quel disastro, poi è diventato qualcosa di più». Diventa un racconto dolente e rabbioso, ma anche dolce e intimo, racconta un dramma collettivo senza mai dimenticare i singoli individui.

«Ho iniziato a seguirli, sono andato lì in varie occasioni. E io L'Aquila non la conoscevo, dovevo andarci pochi giorni prima del sisma, poi l'impegno è saltato. Ho imparato a conoscerla così e ho voluto cercare nelle loro parole, nei loro ricordi, com'era. L'opera ha iniziato a prendere corpo durante il G8, dopo aver incontrato molte persone, aver trovato rapporti importanti. Dai luoghi, spesso inavvicinabili, dal silenzio, sono passato a loro. Trovavo attorno a quella città ormai fantasma tante altre ghost town e attraverso questo film creavo io stesso un luogo, uno spazio da abitare per queste donne, questi uomini senza più un posto proprio. Da qui sono nati tutti gli scambi, umani e creativi, che costituiscono la parte più forte del documentario».

Pisanelli non ha forzato i ritmi, né le storie, con la sua sensibilità acuta ed empatica, ha accettato i tempi lenti di una ricostruzione difficile e controversa. Non ha sfruttato le vittime, le ha accompagnate, è diventato parte della loro vita, spesso è stato partecipe e testimone delle evoluzioni e delle involuzioni delle loro vite. Questo rende Ju Tarramutu un'esperienza unica, prima ancora che un bel lavoro cinematografico. «L'esorcismo, il silenzio, il disorientamento che avevano loro era anche il mio. Poi anche dentro di me è giunta la rabbia, credo- è una provocazione, ma non troppo- che la scoperta delle intercettazioni in cui gli imprenditori sciacalli ridevano della loro tragedia, si sfregavano le mani in vista degli affari che avrebbero fatto, hanno fatto esplodere il loro dolore, li hanno portati a una reazione forte. È stata una primavera bellissima, dopo una grande depressione che temo stia tornando, a causa delle grandi speculazioni in arrivo. E le responsabilità di questo sono del governo, ma anche delle amministrazioni locali, al terremoto naturale si è aggiunto il terremoto mediatico e quello delle scelte sbagliate. Ciò che non è crollato per le scosse, è stato buttato giù dagli errori».

Appassionato, amareggiato, ammirato, Pisanelli sente forte ormai l'appartenenza al popolo aquilano. Ne ama la dignità e la forza. Laddove, nelle tendopoli, non ci si poteva riunire ed esercitare la democrazia, neanche nelle sue più elementari forme, questo popolo fiero ha trovato la forza di produrre, proporre, stilare una legge d'iniziativa popolare. In mercoledì freddissimi e ostici non hanno rinunciato ai loro diritti. «Questo film, a mio parere, era importante perché L'Aquila è lo specchio dell'Italia di oggi, anche se questa città e il resto del paese sembrano capirsi sempre meno. Dopo due anni all'orizzonte non si vedono miglioramenti, nonostante il grande lavoro di artisti e intellettuali abbiano fatto da motore e sostegno di questa proposta di legge. Mentre il loro dolore veniva spettacolarizzato, durante un'inarrestabile bombardamento mediatico, nulla veniva fatto per gli aquilani, c'erano solo propaganda e militarizzazione della vita comune. Con queste tv onnipresenti che fanno da controcoro grottesco. Io non ho voluto forzarli, strumentalizzarli ma piuttosto ho cercato e voluto diventare un po' aquilano». Ci è riuscito. Lo senti dalle sue parole e lo vedi dalle sue immagini.

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