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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2011 alle ore 17:39.

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Lynne Ramsay, regista di "We Need to Talk About Kevin" (a sinistra), con la protagonista del film Tilda Swinton (AP Photo)Lynne Ramsay, regista di "We Need to Talk About Kevin" (a sinistra), con la protagonista del film Tilda Swinton (AP Photo)

È un universo di bambini perduti abbandonati a se stessi da genitori inadeguati o assenti, quello che viene descritto dai due film che hanno inaugurato oggi il concorso ufficiale del Festival di Cannes e la sezione «Un certain regard».

E fa un certo effetto accorgersi della presenza di questo filo conduttore che lega tre film di provenienze diverse, benche' tutti e tre di cultura e ambientazione anglosassone: entrano infatti in concorso «We need to talk about Kevin» della scozzese Lynne Ramsay e «Sleeping beauty dell'australiana Julia Leigh, e inaugura la sezione Un certain regard «Restless» di Gus Van Sant. Il lavoro delle due registe, che costituiscono ben meta' del contingente femminile che partecipa alla competizione principale è radicalmente diverso e di diseguale livello artistico, ma racconta in entrambi i casi una sorta di favola nera con al centro una potente figura femminile.

Il figlio mostro
Nel caso di «We need to talk about Kevin», basato sull'omonimo best seller di Lionel Shriver, la protagonista e' Eva (non a caso il nome della prima donna), felice e realizzata fino a quando decide, in piena consapevolezza, di mettere al mondo un figlio. Fin dalla gravidanza diventa tuttavia evidente che questo figlio non sara' accolto dalla madre con quell'accettazione totale che serve a costruire un individuo sereno.

Il disagio di Eva, magistralmente interpretata da Tilda Swinton, grazie anche alla fisicità androgina dell'attrice messa al servizio di una femminilità "anomala", trova il suo specchio crudele nell'aperta ostilità del figlio Kevin. Entrambi i personaggi vengono ritratti dalla regista e dagli interpreti (Jasper Newell e' il Kevin bambino, Ezra Miller il Kevin adolescente) con totale assenza di giudizio e una profonda pietas, mentre vero "cattivo" appare il marito di Eva, Franklin (John C. Reilly), un brav'uomo totalmente incapace di recepire e affrontare l'inquietudine della moglie e pronto invece ad investirla del trito clichè dell' ubermamma.

Franklin non sia accorge nemmeno del fatto che Kevin stia diventando a poco a poco un piccolo mostro e non uno qualunque: uno di quelli di cui sono piene le pagine della cronaca nera. Infatti, fin dalle prime scene, le immagini forti e carnali della Ramsay ci fanno capire che è accaduta una tragedia alla quale Eva è sopravvissuta a costo di un enorme senso di colpa. La regista e l'attrice dimostrano un grande coraggio nel narrare un rapporto madre-figlio come sofferto, ambivalente, foriero di grandi traumi, tanto per le madri quanto per i figli e, soprattutto, incompreso da quella società perbene che fa gravare sulla madre l'intero carico, fisico ed emotivo, della maternità. E dato il numero spaventoso di eventi tragici legati attualmente a questo conflitto irrisolto, è davvero ora di parlarne, come suggerisce lo stesso titolo del film.

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