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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2011 alle ore 16:42.

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Radu Mihaileanu e Leila Bekhti durante il photocall del film La Source des femmes (AGF)Radu Mihaileanu e Leila Bekhti durante il photocall del film La Source des femmes (AGF)

Il solito caldo, confusionario, irresistibile Radu Mihaileanu. Nonostante gli eccessi e le furbizie «La sources des femmes» piace, per quel clima da favola più o meno moderna, da novella tragicomica che sempre permea le sue opere («Vai e vivrai» esclusa, che invece è il biopic di una famiglia e di una nazione, Israele) e che è il modo ideale per scivolare via da un festival che si è fatto amare più per i suoi outsider che per i favoriti.

Dopo il Sorrentino-Penn show di ieri, oggi si sono mostrati il regista rumeno, reduce dal recente successo de «Il concerto» e Nuri Bilge Ceylan che con l'ambizioso, per titolo e durata, «Once upon a time in Anatolia».

Ci soffermiamo soprattutto sul primo, piccolo gioiello, soprattutto per chi ama la cinematografia del cineasta. «E' femminile l'origine delle rivolte nel Maghreb» ha dichiarato in conferenza stampa, firmando subito con la sua originalità l'incontro. E quella rivoluzione lui forse l'ha intuita se è vero che in un paesino che potrebbe essere tanto Europa dell'Est quanto, appunto, Nord Africa decide di sovvertire i ruoli di una piccola società. In un paesino che poggia su terre impervie, infatti, gli uomini si dedicano al caffè e le donne all'acqua. I maschi se ne stanno al bar a sorseggiare la gustosa bevanda, le femmine scalano una montagna per giungere alla sorgente e portare l'acqua al villaggio.

Una situazione insostenibile che viene risolta con uno sciopero. Secondo il più classico "chi non lavora non fa l'amore", le abitanti di questo paesino cominciano a negarsi: baci, abbracci, sesso, la vita sentimentale azzerata finché anche gli uomini non faranno la loro parte. Geniale. E tra queste c'è anche la bellissima Hafsia Herzi, protagonista qui vergine e in sciopero del sesso mentre, ironia del concorso di Cannes, con «L'apollonide» di Bertrand Bonello (dove ha dato un'ottima prova anche Jasmine Trinca) è in competizione nel ruolo di una prostituta.

«Mi aveva colpito questa storia realmente accaduta in un villaggio sperduto della Turchia nel 2001. Mi sono posto il problema, certo, di un contesto musulmano affrontato da me, artista ebreo. Ho anche pensato di affidare il tutto a una regista araba, poi però mi sono buttato io nel progetto ma piantando dei paletti precisi: poter avere la possibilità di documentarmi al meglio, con tempi e modi adeguati, e poter girare in arabo per avere il massimo di autenticità».

«Non è ambientato in un luogo preciso, è una storia universale sui rapporti tra l'uomo e la donna, la necessità di un dialogo che non abbiamo più in tempi di aridità dei cuori».

Con la sua chiassosa semplicità, con una regia sopra le righe e una fotografia molto "colorata"- come d'altronde, qui lo sono anche i costumi - Mihaileanu ti accompagna in questa strana e folle ribellione per 132 minuti. Forse anche troppi, ma al cineasta rumeno, da anni residente in Francia, gli si perdona (quasi) tutto, (quasi) sempre.

Sicuramente è lunghissimo, infinito «Once upon a time in Anatolia». Nuri Bilge Ceylan continua a realizzare straordinari saggi di regia - sa creare, mostrare immagini meravigliose nelle sue opere - ma a faticare a costruire film che vadano oltre il suo talento.

La giuria riunita
Pur apprezzandolo, è impossibile non avere l'impressione, di fronte ai suoi lungometraggi, di trovarsi di fronte a qualcuno che si specchia costantemente nella sua bravura. E' con loro che Cannes chiude il suo ultimo giorno di proiezioni: e ora tutti indagano sui premi, su dove la giuria è riunita, sui primi rumors sui riconoscimenti che saranno consegnati domenica sera. E qualcuno assicura che l'Italia non dovrebbe rimanere a bocca asciutta, dopo gli ultimi trionfi di «Gomorra», «Il divo» ed Elio Germano.

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