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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2011 alle ore 19:33.

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In un salone del Palazzo Mezzanotte di Milano (la sede della Borsa) è stato presentato in anteprima il film documentario di Marianna Cattaneo "Al Capolinea, quando a Milano c'era il jazz". Marianna è molto giovane: nel santuario milanese del jazz mondiale, come venne chiamato il celebre club attivo dal 1969 al 1999, non c'è mai stata.

Ha costruito il documentario interpellando soprattutto Laura Vanni, una delle tre figlie del fondatore Giorgio Vanni che volle assumersi la responsabilità della conduzione del locale dopo la scomparsa del padre avvenuta nel maggio 1995. E poi ha fatto parlare i musicisti italiani, protagonisti al Capolinea di tanti concerti improvvisati fino all'alba con i maestri americani che arrivavano puntuali dopo i concerti nei teatri del centro; e infine ha raccolto spezzoni significativi della vita del club.

Marianna è riuscita a commuovere chi è stato amico di Giorgio Vanni, ma anche chi abbia vissuto la vita del Capolinea da appassionato, da semplice spettatore, e addirittura chi, come lei, non abbia mai varcato la mitica soglia di via Ludovico il Moro 119. E' il migliore elogio che le si possa fare. E' bello anche quel titolo tranchant del film, sebbene alcuni storici avrebbero preferito "quando Milano era la città italiana del jazz". Ma questo equivale a cercare il classico pelo nell'uovo.

In più di un'ora e mezza si ascoltano (e si vedono) le testimonianze dei musicisti. Difficile ricordarli tutti, ma ci proviamo e chiediamo scusa per eventuali e involontarie omissioni. C'è il pianista Nando De Luca che ebbe meriti di co-fondatore. Tiene più volte la scena il clarinettista e sassofonista Paolo Tomelleri, direttore oggi come allora di una grande orchestra Swing, lo stile lineare e trascinante degli anni Trenta. Ecco poi Lino Patruno, chitarrista e cantante che si accostò al violinista italo-americano Joe Venuti, anziano ma ancora validissimo, approdato a Milano quasi all'improvviso e trattenuto per molto tempo al Capolinea, da lui scelto come quartier generale prima del definitivo ritorno negli Stati Uniti. E ancora: il pianista, batterista e direttore di piccoli complessi Luigi Bonafede (si può immaginare, con questa sua figura poliedrica, quanti contributi abbia dato); il sassofonista Michele Bozza; il batterista Paolo Pellegatti. E' passato del tempo da quegli anni d'oro: qualcuno dei testimoni ha messo su qualche chilo di troppo o ha perso parte della chioma. Ma l'entusiasmo è inalterato e straordinaria è la capacità di rivivere e comunicare il clima del Capolinea.

C'erano sempre Giorgio, la moglie Maria, le figlie Angelica, Laura e Alessandra – e da ultimo il nipote Francesco, figlio di Angelica – ad accogliere chiunque come un vecchio amico. I prezzi erano modici, famosa era la bruschetta, notevole il fumo delle sigarette (allora si poteva). Ma si stava bene, ognuno si sentiva a casa propria e sapeva che avrebbe ascoltato buona musica, se non altro dal trio di base (pianoforte, contrabbasso, batteria) che non mancava mai. Negli spezzoni del film evocati dai musicisti compaiono fra gli altri Joe Venuti, Art Blakey che arriva con i suoi Jazz Messengers ivi compreso il diciottenne Wynton Marsalis appena scoperto, e l'altro batterista Buddy Rich con l'orchestra, i quattro trombonisti della big band di Stan Kenton, Enrico Rava, Elvin Jones, Bud Freeman, Bill Coleman, Lionel Hampton, Archie Shepp, Charlie Haden, Betty Carter, Gerry Mulligan che al Capolinea incontra quella che sarebbe diventata la sua moglie definitiva, e si ricordano indirettamente due momenti drammatici: Bill Evans che dopo un bellissimo concerto in trio al Castello Sforzesco (fine luglio 1980), viene al Capolinea a prendere congedo dagli amici, gelandoli con l'annuncio di avere al massimo altri due mesi di vita; e Chet Baker che si ferma nel locale pochi giorni prima del viaggio verso Amsterdam dove precipiterà da una finestra il 13 maggio 1988.

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