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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2011 alle ore 19:33.

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Più volte si ammira nel film un fotogramma in bianco e nero che mostra Giorgio Vanni, appoggiato con le braccia alla spalliera di una sedia dove siede perplesso alla rovescia, al centro di una sala in costruzione piena di macerie. E' il 1975, quando il boss decide di affiancare al vecchio locale del Capolinea una sala più ampia. Per recare il minor danno possibile al bel parco che circonda il santuario del jazz non abbatte nemmeno un albero, al punto che uno rimane intatto all'interno della nuova sala. I frequentatori abituali rammentano ancora la fanciullesca sorpresa di Dizzy Gillespie che sale sul palcoscenico, tocca alla sua destra quella che gli sembra una colonna scura, ed esclama sgranando gli occhi: «Oh, it's a tree», è un albero. A proposito del parco, lì la Televisione Italiana, che allora faceva queste cose, ambientò alcune puntate della serie "Il Jazz in Italia" che fu di inestimabile utilità propedeutica.

E' appena il caso di dire che si auspica di rivedere il documentario al Milano Film Festival e più ancora in dvd. Ma mi sia permesso di riservare gli ultimi capoversi al personaggio, unico sotto ogni aspetto, che ha reso possibile tutto questo. Giorgio Vanni nasce a Forte dei Marmi nel 1927. Si appassiona al jazz da ragazzo, impara a suonare la batteria e nel dopoguerra si trasferisce a Milano dove si destreggia a lungo fra il jazz e la musica leggera. La sua principale scrittura è con il cantante Tommy Brookins, con il quale ha occasione di suonare per alcune sere con Louis Armstrong. Nel 1969 rileva la sede di un vecchio albergo in via Ludovico il Moro, lungo il Naviglio Grande alla periferia di Milano. In una dependance sistema una pedana, un pianoforte, un contrabbasso e una batteria. Nasce così il futuro "santuario" il cui nome è quasi obbligato: a cento metri, in direzione del centro della città, c'è il capolinea del tram 19. «Nemmeno nei momenti di maggiore ottimismo – dichiarava Vanni – immaginavo di aver creato uno dei centri del jazz internazionale. E invece, una sera dopo l'altra…».

Appunto. Una sera dopo l'altra, i grandi musicisti di passaggio vengono informati dell'esistenza di quel locale dove si può suonare a piacimento e a lungo con ottimi jazzisti italiani. Dal 1975, dopo la costruzione della nuova sala, l'attività di Giorgio Vanni si fa ancora più intensa. Spesso il Capolinea riesce a sostituirsi agli assessori distratti, ai direttori teatrali incerti, e invita artisti celebri non più soltanto per sedute d'improvvisazione notturne (jam sessions after hours, nel gergo americano) ma per veri e propri concerti. Dopo l'irreparabile perdita di Giorgio, la figlia Laura cerca di continuare l'attività malgrado innumerevoli ostilità, minacce gravi e la colpevole indifferenza delle istituzioni. Quattro anni dopo è costretta ad abbassare bandiera. Adesso al posto del Capolinea c'è un parcheggio, sul quale il film indugia e si conclude con molta tristezza.

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