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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2011 alle ore 19:02.

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Gerard Depardieu con Isabelle Huppert (sx) e Sylvie Pialat (dx) a LocarnoGerard Depardieu con Isabelle Huppert (sx) e Sylvie Pialat (dx) a Locarno

Una bella programmazione in sala, tanti incontri importanti fuori. Anzi, per la precisione al Forum. Il famoso Spazio Cinema del Festival del film di Locarno, in questa edizione numero 64, si confronta con grandi nomi e grandi temi. Da Harrison Ford al dramma dei clandestini di Vol special, per intenderci.

Oggi, però, senza nulla togliere agli ospiti precedenti, tale Gérard Depardieu ha dato il meglio, ha conquistato tutti, ha tenuto una platea scomoda per la grande affluenza inchiodata alla sua eloquenza. Battute, pause abilissime, aneddoti, un carisma naturale che ha quasi qualcosa di soprannaturale.

La sua sola presenza è inno alla vita e al cinema. Li glorifica entrambi, Gérard Xavier Marcel Depardieu, lui che entrambi li ha vissuti e li vive al massimo. A descrivere una delle icone del cinema francese più amate è, con parole felici e sentite, il direttore Olivier Père, che ne riconosce «la curiosità e la generosità, la capacità di percorrere il cinema in ogni direzione, di girare con cineasti molto differenti. È il volto più bello del cinema, un attore straordinario che può fare tragedia e commedia. La sinergia Pialat-Depardieu mi ricorda quelle di Jean Renoir con Michel Simon o Jean Gabin: due grandi artisti che si scoprono anche complementari».

Omaggio al regista Pialat
È qui, il mattatore transalpino, per raccontare il "suo" regista Maurice Pialat, hanno girato assieme 4 film in 15 anni, tra il 1980 e il 1995 (Loulou, Police, Sotto il sole di Satana e Le garçu). «Era sempre disposto a spendere le proprie energie per gli altri, era un operaio dello spettacolo e allo stesso tempo aveva la pazienza del creatore. Non si credeva il Cineasta, era uno che arrivava dalla strada, anche per questo ci si è capiti subito e ha saputo trasformare la mia arroganza giovanile in una strana ironia. In lui ho sempre riconosciuto un amore, un'umanità, una pietas che è davvero difficile trovare anche in altri grandi maestri».

Gli occhi del guerriero e dell'amante, sempre malinconicamente allegri, quelli che ha prestato a Resnais e Bertolucci, Truffaut e Duras, Ferreri e Schmid, Corneau e Téchiné, si accendono anche in difesa della sua arte, la settima. «Ormai l'industrializzazione ha privato i paesi di una propria identità cinematografica, le sale sono invase dal cinema americano, tv, internet e satellite hanno contribuito a una deriva pornografica del cinema, perchè in rete o in tv ormai trovi quello che vuoi». E inevitabilmente si riallaccia a Pialat e al festival stesso. «Il cinema di Maurice non era per le piccole sale, aveva bisogno di grandi spazi. Come Locarno che, con il sole o la pioggia, raggruppa migliaia di persone che insieme condividono emozioni in nome del cinema e dell'arte».

Non rinuncia, pur in un'occasione così "istituzionale" a raccontare le sue passioni: l'Italia, il cibo, il vino. «Il cibo, il vino sono come il cinema, danno nutrimento e piacere. La bellezza dell'Italia è proprio apprezzarli tutti e tre. Qualcosa che vi consente di mantenere forte il rispetto dei valori e della famiglia, di amare profondamente la vostra terra che vi dà tante cose speciali. Certo, forse vale più per il sud Italia, sappiamo che al nord c'è la zona più industriale. Ma già da Firenze, la terra di Dante e Benigni, si avverte quanto sia speciale il vostro paese». E inizia una fluviale disquisizione sul Lago Maggiore, sui formaggi svizzeri e su molto altro ancora. Spesso fuori dagli schemi, a volte fuori tema, ma è Depardieu. Se lo può permettere.

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