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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 18:44.

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L'arte di amare e... odiare a Locarno, da Mouret a Smith. Nella foto l'attrice francese Frederique Bel con il regista Emmanuel Mouret (AP Photo)L'arte di amare e... odiare a Locarno, da Mouret a Smith. Nella foto l'attrice francese Frederique Bel con il regista Emmanuel Mouret (AP Photo)

Che serata in Piazza Grande, grazie a due film diversissimi, un'alleniana riflessione multipla e spesso acrobatica sull'amore - L'art d'aimer di Emmanuel Mouret - e un trattato feroce e implacabile sull'odio, Red State, che ci offre un Kevin Smith in formissima. Amore e odio, Eros e Tanathos, Locarno sfida il suo pubblico e unisce una commedia sentimentale a un apologo cupo e fanatico sull'intolleranza.
Mouret diverte, continua a scegliere una strada raffinata e pop per la commedia sentimentale, che sintetizza, come lui stesso confessa, gli insegnamenti di "Wilder, Lubitsch e pure Jacques Becker". Storie intrecciate e improbabili come solo i sentimenti e i vezzi di uomini e donne in amore possono essere, un tocco gentile e garbato di cinismo, un'eleganza ricercata ma mai barocca. L'impressione è che questo regista (e attore) capace forse non diverrà mai un maestro ma di sicuro è un ottimo allievo della migliore rom-com d'epoca, americana e francese. Ci si fa cullare dai sorrisi e dalle altalene d'amore e si esce sentendosi meno soli nell'affrontare e aver combattuto le schermaglie d'amore più assurde.

Assurdo, come il film Red State, anch'esso selezionato per la Piazza Grande del 64imo Festival del film Locarno. Anzi no, il film di Kevin Smith è una parossistica parabola sul fanatismo religioso, sull'omofobia violentissima di chi si sente giustificato da Dio nel proprio odio senza se e senza ma.
Era difficile aspettarsi un film del genere dal vate del cult Clerks, il cineasta e fumettista ha una mente lucida e spietata, capace di intuire le perversioni della propria società. Se in passato però ce le ha presentate con la comica capacità di metterle alla berlina, in Red State non lesina sangue, violenza, atrocità. Non c'è spazio per il sorriso, l'inizio leggero è solo l'inganno abile di un narratore che conosce tutte le regole del racconto e sa come romperle, frantumarle.

L'FBI e una "setta" cristiana di fanatici omofobi si contendono la purezza dell'America: la loro è una guerra in piena regola, tra l'ordine costituito e quello divino, una battaglia che dall'11 settembre in poi si è combattuta con aspra ripetitività negli USA. Si consuma, qui, davanti a una Chiesa. Kevin Smith tirando semplicemente le fila di una storia che è metafora quasi horror della guerra civile senza "buoni" che sta scuotendo il suo "grande" paese negli ultimi 10 anni- e forse da molto più tempo- ci offre una storia che non lascia scampo. Nessuno ha la verità in mano, tanto meno è portatore di giustizia. Un Goodman straordinario è giudice riluttante e probabilmente incapace, ma tragicamente conseguenziale. Forse non avete capito tutto, ma non possiamo anticiparvi abbastanza di questa tragedia che comincia con la punizione di tre adolescenti lascivi che cercano sesso facile e finisce con un giudizio universale in miniatura. Perché speriamo che il grande coraggio del direttore della rassegna ticinese Olivier Père nel proporlo agli 8-10.000 di Piazza Grande sia anche quella di un distributore italiano che intuisca la grandezza e la potenza di un film che ha il coraggio di scagliarsi contro il Potere. Perché Dio e Patria, spesso, sono pretesti più o meno sacri per precipitare nel lato oscuro, per sopraffare i deboli e coprire le nefandezze peggiori. Compiute, appunto, in nome della ragion di Stato e la parola di Dio. Ecco perché Kevin Smith con Red State raccoglie a tutti gli effetti il testimone del profetico capolavoro di Joe Dante La seconda guerra civile americana.

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