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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2011 alle ore 16:04.

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Il Premio Nobel per la Medicina 2011 è stato assegnato a Bruce Beutler, americano, Jules Hoffmann, lussemburghese, e Ralph M. Steinman, canadese, perché le loro ricerche hanno consentito fondamentali progressi nella comprensione del sistema immunitario. In parte il premio è stata assegnato a Steinman per la scoperta delle cellule dendritiche (dal greco devndron, dendron, albero). Per primo infatti, negli anni 70, ha descritto questo particolare tipo di cellule, caratterizzate da lunghe propaggini, simili ai tentacoli di una piovra, con cui campionano organi e tessuti alla ricerca di eventuali intrusi come virus e batteri. Le cellule dendritiche sono delle vere e proprie sentinelle dell'immunità: in presenza di patogeni danno il segnale d'allerta e fanno partire la risposta immunitaria adattativa, mediata dai linfociti B e T, che si manifesta ad esempio con la produzione di anticorpi specifici contro l'antigene in questione.
Ma in che modo le cellule dendritiche percepiscono la presenza di microbi? Attraverso particolari recettori (i pattern recognition receptors), i più importanti dei quali sono i Toll-Like receptors (o TLR, letteralmente: recettori simili a Toll). Si tratta di sensori che riconoscono alcuni elementi essenziali per la vita dei microrganismi (ad esempio alcuni elementi che costituiscono la flora intestinale), e danno il segnale d'attivazione alle cellule dendritiche e dell'immunità innata. Qui intervengono i due scienziati che si dividono l'altra metà del Nobel 2011 per la Medicina.
Hoffman ha scoperto che un gene già noto (chiamato "Toll", che in tedesco significa straordinario) è essenziale per le difese immunitarie del moscerino della frutta (Drosophila melanogaster). Beutler ha invece compiuto un passaggio fondamentale trasferendo queste conoscenze ai mammiferi. Con tecniche di ricerca di base - camminando sul cromosoma, come diciamo in gergo - affrontava un problema clinico, quello della sepsi e dello shock settico, che vale circa 30mila morti all'anno: cercava il gene responsabile della resistenza allo shock settico nel topolino, e lo riconobbe in un gene molto simile al Toll coinvolto nel sistema di difesa della Drosophila.
L'assegnazione di questo Premio Nobel è meritatissima e molto importante, per vari motivi.
Innanzitutto perché, in un certo senso, certifica un cambiamento di paradigma: ciò che detta l'attivazione della risposta immunitaria e il suo orientamento sono cellule e recettori dell'immunità innata, dunque i più primitivi dal punto di vista dell'evoluzione. Fino a 10-15 anni fa, invece, si pensava fosse l'immunità adattativa il cuore ed il motore delle nostre difese naturali. A questo radicale mutamento di paradigma, oltre ai premiati, hanno contribuito anche altri scienziati, importanti precursori di queste scoperte: ad esempio, Charlie Janeway, grande immunologo di Boston (che se non fosse morto di sicuro sarebbe stato premiato con il Nobel) e il suo giovane collaboratore Ruslan Medzhitov, con i loro pionieristici studi sull'immunità innata. E Charles Dinarello, con i suoi studi sulle citochine ed in particolare su Interleuchina-1.
Questo - non dimentichiamolo - è un Premio Nobel dato alla Ricerca di base ma per la Medicina. Le scoperte di Beutler, Hoffmann e Steinman hanno aperto e stanno tuttora aprendo la strada a nuove strategie diagnostico-terapeutiche al servizio della salute: stanno finalmente consentendo lo sviluppo di nuovi adiuvanti per i vaccini, la messa a punto di vaccini non solo preventivi ma anche terapeutici, per la prima volta anche basati non su anticorpi ma su cellule. Da poco, infatti, la Food & Drug Administration ha approvato per uso clinico il primo vaccino terapeutico a cellule, per il cancro della prostata.
L'assegnazione di questo Premio Nobel, dunque, costituisce anche una prova tangibile di come la ricerca di base di alta qualità possa avere un impatto enorme sulla salute dell'uomo.

Alberto Mantovani è autore di «I guardiani della vita. Come funziona il sistema immunitario e il suo ruolo nella medicina del futuro», appena pubblicato da Dalai editori

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