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Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre 2011 alle ore 11:54.

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E come sempre ci ritroviamo tutti insieme intorno alla tavola imbandita, ciascuno al proprio posto, lo stesso che hanno sempre occupato fin da quand'erano piccoli. E così, anche solo per un giorno torniamo a essere la 'nostra famiglia' e ogni anno che passa, questo sentimento, per me e Loredana, ci diventa sempre più caro.
E credo anche per loro.

Loredana ha cominciato per tempo a ornare la casa di luminarie, a incartare e infiocchettare i regali e a preparare il patè di fegatini che piace tanto ai bambini. Bambini? Per noi, nel giorno di Natale, sono sempre «i nostri bambini». E se anche la vedo un po' affaticata, so che è felice. E anch'io lo sono. Eppure non dovrei, a causa di questi nostri giorni così carichi di incertezze per tutti, con tanta sofferenza nel mondo e disperazione, conflitti, odio e morte.

Caro Gesù Bambino, è forse per questo che dopo tanti anni ho sentito ancora il bisogno di scriverti questa mia letterina. Quante cose vorrei chiederti in regalo! Di quanto aiuto sentiamo ancora il bisogno di ricevere da te. E che tu solo puoi regalarci. Lo so bene che ascolti più volentieri i bambini perché hanno il cuore puro degli innocenti.

Ma se vorrai ascoltare anche noi che da troppo tempo abbiamo lasciato che il nostro cuore si chiudesse all'amore degli altri, lasciaci almeno la speranza di poterci mettere alla prova per diventare uomini di buona volontà e di pace.

Per questo ho deciso che da quest'anno riprenderò a fare il presepe ogni Natale. Loredana tirerà fuori dal ripostiglio lo scatolone con le statuine che tanto tempo fa avevamo modellato nella creta insieme ai bambini e quest'anno, inaspettatamente, se lo troveranno lì, sotto gli occhi e io, da poco distante, li spierò mentre loro, senza darlo a vedere, ne sono sicuro, tratterranno un brivido di commozione.

Poi, prima che faccia buio, quando i figli se ne saranno già andati, Loredana e io saremo nuovamente soli. Adesso lei comincia a sentire la stanchezza e si stende sul divano a vedere un po' di televisione. Ma so bene che più della stanchezza deve scacciare la malinconia.

E io, per lasciarla sola, rimango in cucina a dare un'occhiata ai giornali, sempre più o meno con gli stessi titoli di ieri e l'altrieri, di domani e posdomani. Il mondo è sempre più a rischio di un inceppo totale e non si fa che ripetere l'inutile ammonimento: promuovere sviluppo, rilanciare la crescita, produrre nuova ricchezza.

Caro Bambinello Gesù, lo vedi? Tu li conosci bene gli uomini. Non impareranno mai. Siamo dentro a una situazione talmente disastrosa che chissà come andrà a finire e nonostante l'evidenza si pensa ancora di risolvere i problemi con gli stessi criteri, ripetendo i medesimi errori.

Non vogliono capire che la sola salvezza è nella povertà come tu ci hai mostrato. Povertà come virtù. Che non è la miseria, bensì la liberazione dal superfluo, una ritrovata misura del necessario. E se ricomiciassimo di nuovo dal gesto che smuove la zolla? Lascio la lettura del giornale e mi avvicino al presepio. Guardo il Bambinello e gli parlo.

«Quando il mondo era in attesa della tua venuta, l'annuncio proclamava il tuo arrivo alla testa di schiere di angeli come un esercito celeste. Sei arrivato fra noi in silenzio, in disparte, senza gli onori dei potenti. Ti sei mostrato agli umili e ci hai narrato la più bella delle favole: la favola dove l'amore è la realtà più vera e di tutti, con giustizia».

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