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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 18:52.

La filosofia, invece, non è morta. Ed è significativo che essa continui ad essere mantenuta, grazie ai fondi dello Stato, in quasi tutte le università. È una materia autentica? Se lo è, qual è il suo oggetto specifico? Una domanda simile può riguardare anche la matematica: di che cosa esattamente si occupa? I risultati della matematica sono troppo evidenti a chiunque perché se ne possa mettere in discussione il diritto di esistere e di essere sostenuta finanziariamente dallo Stato. I risultati della filosofia invece sono difficili da definire. Nella sua storia, molte discipline scientifiche sono sbocciate dalla sua pianta. Prima la fisica e le altre scienze naturali, un tempo conosciute come "filosofia naturale"; poi la logica matematica, la psicologia sperimentale, la linguistica e anche la computer science. Ma come mai il ceppo non-scientifico sopravvive e continua a fiorire? Sopravvive perché il nucleo dei problemi filosofici - cui si aggiungono nuovi problemi posti dalle scienze (l'interpretazione della meccanica quantistica, per esempio) - resta irrisolto. C'è un interesse pressante perché quei problemi vengano risolti, ed è naturale che l'interesse per la loro soluzione sia pressante. Tratteggiare il contrasto tra la filosofia e le scienze alla maniera di Wittgenstein, che sostenne che le proposizioni filosofiche non esistono, è esagerato. Le proposizioni filosofiche esistono eccome; lo scopo della filosofia però non è quello di accrescere la nostra conoscenza, ma di intensificare la nostra comprensione. Noi esseri umani non abbiamo una visione chiara dei concetti che usiamo e dei contenuti delle proposizioni di cui siamo soddisfatti di aver stabilito la verità.

Siamo come soldati in un campo di battaglia, consapevoli di quanto accade intorno a noi quel tanto che basta per decidere che cosa fare, ma senza una visione generale di quello che sta succedendo. Noi afferriamo i concetti di uso comune per quel che ci servono nei contesti quotidiani, includendo tra questi - se siamo degli scienziati - i laboratori; ma non siamo in grado di apprendere la loro collocazione complessiva nella nostra concezione della realtà.
La filosofia cerca di metterci in grado di avere una visione chiara e di dominarla: non di sapere di più, ma di comprendere più profondamente ciò che già sappiamo. Nella misura in cui fa questo è parte nella ricerca della verità. Senza questa comprensione, noi possiamo scegliere tra l'astensione completa dalla riflessione e il tuffarci nella perplessità e nell'incertezza: un'incertezza dalla quale desideriamo liberarci. Il filosofo cerca questa liberazione, per sé e per tutti coloro che può convincere con i suoi argomenti volti a interpretare i nostri concetti e il linguaggio in cui li esprimiamo.

In termini di risultati incontestabili, la filosofia accumula ben poco. Comunque progredisce. Anche se non con la stessa intensità delle scienze naturali o della storia è anch'essa in qualche misura cumulativa. I filosofi cercano le soluzioni dei loro problemi attraversando sentieri tortuosi. Il fatto che, a un certo punto lungo il sentiero, il filosofo si diriga in una certa direzione è una prova molto modesta che la soluzione definitiva si troverà proprio da quella parte; ma seguendo il sentiero egli è comunque più vicino alla soluzione. Filosofi diversi prendono diversi sentieri per risolvere lo stesso problema: il fatto che, a un certo punto, due filosofi procedano in direzioni divergenti non dimostra però che u
ulteriore tratto lungo il sentiero non li guiderà verso la stessa soluzione. Per quanto grande possa essere il loro disaccordo, le loro intuizioni gradualmente contribuiranno alla soluzione dei problemi con i quali si stanno cimentando: come il cielo si illumina lentamente prima dell'alba, così la comprensione che essi cercano si propagherà gradualmente molto prima che una formulazione netta e universalmente accettata sia possibile. La filosofia fa progressi, e i suoi progressi sono una conquista per tutti. poiché fa progressi, e poiché i suoi progressi sono il frutto di sforzi collettivi, non è diversa da ogni altra ricerca della verità. Una vita dedicata alla filosofia ha senso anche se contribuisce al progresso filosofico in una misura molto bassa.

Ma allora la filosofia è interpretazione o è analisi? Dipende da che cosa i filosofi si propongono di interpretare e che cosa vogliono analizzare. Chiunque studi la storia della filosofia non può non sapere che i filosofi di cui si occupa erano impegnati a risolvere problemi: problemi che ci riguardano tutti come esseri umani e problemi nati dalle loro stesse riflessioni. Supporre che lo studio della filosofia possa non solo essere assistito dalla storia della filosofia, ma ridotto ad esso significa presumere che i problemi che i filosofi hanno cercato di risolvere o non erano affatto problemi - ma meri Scheinprobleme - oppure che per loro natura essi sono insolubili. In entrambi i casi questo significa dare la filosofia per morta. Anche la sua storia così diventa molto meno interessante, visto che i filosofi sarebbero impegnati in un compito illusorio e intrinsecamente inconcludente. Ma il loro lavoro può essere davvero considerato inconcludente? Nessuno che si cimenti con un problema filosofico può ammetterlo. Anche se sa di essere lontano dalla soluzione, e che anche i suoi contemporanei lo sono, egli deve credere, se pensa che il suo lavoro abbia un valore, di aver fatto qualche piccolo passo nella direzione giusta. Non può supporre che la soluzione sia ancora infinitamente lontana; deve presumere, in linea di principio, di poterci arrivare, e sperare un giorno di farcela. I problemi filosofici sono molto difficili, ma il lento e controverso progresso della filosofia non ci dà nessuna ragione per supporre che gli esseri umani, che hanno risolto o si avviano alla soluzione di molti problemi di enorme difficoltà, non siano capaci alla fine di risolvere anche i problemi con cui si cimentano i filosofi.

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