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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 19:03.

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Se Dio è morto, tutto è permesso. O meglio, se Dio è morto nulla è vietato, e nulla è permesso. Come potrebbe esserci una legge senza un legislatore? Così ragiona il nichilista etico. Dal suo punto di vista, ciò che prendiamo a torto per legge, altro non è che la proiezione sulla realtà di nostre reazioni emotive alle azioni nostre e degli altri. Questa tesi, sostenuta da molti filosofi analitici, è quella del soggettivismo morale. Dice che nessuna azione è di per sé lodevole o sbagliata, così come nessuna azione è di per sé un segno di educazione o di maleducazione: possiede queste qualità soltanto perché la trattiamo come se le avesse.

Il soggettivismo non è ancora il nichilismo, ma ne è la porta di accesso. Il nichilismo lo si ha quando i concetti stessi di bene e di male vengono ripudiati, così come un adolescente può rifiutare i concetti di educazione e di maleducazione sostenendo che non gliene importa niente delle convenzioni sociali. Un soggettivista può manifestare e coltivare molte virtù: può essere sincero, giusto, generoso e buono. Ma non potrà convincere il nichilista morale a rinunciare a ogni pretesa nei suoi confronti in nome di quelle che sono considerate virtù.

É sufficiente obiettare al soggettivista che gran parte degli esseri umani concordano nei propri giudizi morali? L'argomento avrebbe poco peso anche se l'accordo fosse quasi unanime. I disaccordi, ovviamente, esistono, assai profondi, soprattutto sull'uccidere. Ma è più illuminante concentrarsi su un altro punto: e cioè sul fatto che, per poter riconoscere come giudizi morali certi giudizi da cui dissentiamo, dobbiamo immaginare la visione del mondo di colui che li sostiene. Alcuni pensano che il suicidio sia sempre un male, altri invece che in particolari circostanze possa essere un nobile gesto. Perché i primi possano riconoscere che quello degli altri è, per quanto diverso dal proprio, un punto di vista morale, essi devono provare a immaginare che cosa significa avere una diversa concezione della vita umana, a partire dalla quale si può provare ammirazione per certi tipi di suicidio. Senza una tale raffigurazione, a quell'ammirazione non si può attribuire una fonte morale.
Immaginiamo di trovarci davanti a persone che inorridiscono al pensiero che si possano mangiare dei tuberi. Ne chiediamo il motivo: pensate che facciano male alla salute, o altro? Rispondono che la loro è un'obiezione morale: pensano che mangiare tuberi sia un male. Sul momento, non riusciamo a capire, non vediamo che cosa ci sia di morale in questa obiezione. Dobbiamo imparare a conoscere molto meglio la concezione del mondo di quella gente, prima di capire non solo perché la pensa in quel modo ma che cosa pensi esattamente.

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