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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 19:03.

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Di fatto questo è un modo sbagliato di considerare la faccenda. L'espressione «Come le cose appaiono a X» significa «Come per X è naturale credere che le cose siano», ma per un relativista non ha neppure senso usare l'espressione «come le cose sono».
I sostenitori della relatività della verità spesso sostengono soltanto la relatività del giudizio. Osservano che le risposte che diamo alle nostre domande, e i termini in cui esprimiamo domande e risposte sono profondamente condizionati dal nostro ambiente intellettuale. In questo, c'è molto di vero. Il fatto che non possiamo giudicare l'uno migliore dell'altro due insiemi rivali di concetti e credenze, però, porta a conseguenze disastrose solo se accettiamo la tesi dell'incommensurabilità. Sebbene essa sia sostenuta seriamente da alcuni filosofi, in pratica non è accolta da nessuno scienziato o storico, e non c'è motivo per accoglierla. Un tempo si pensava che Gerusalemme si trovasse al centro della superficie terrestre. Non diciamo che la credenza fosse falsa; partiva da un concetto che non usiamo più. Ma sarebbe sbagliato negare che, nel fare a meno di quella credenza, ci siamo avvicinati di più alla verità.

É possibile andare al di là del relativismo e rifiutare del tutto il concetto di verità? Noi usiamo il linguaggio non solo per fare affermazioni ma anche per esprimere desideri, per dire ad altri di fare qualcosa («Attenzione!», «Per favore, sta zitto»), per porre delle domande e così via: giustamente però, l'affermazione è ritenuta centrale. Senza l'affermazione, o senza il giudizio che le è internamente correlato, non sarebbe possibile dire o giudicare se una persona ha fatto quello che le è stato detto di fare, o se una richiesta o una supplica è stata esaudita.

Nella pratica di fare affermazioni è essenziale che possano essere giudicate corrette o scorrette; e da qui nasce il concetto di verità. Quindi è impossibile fare interamente a meno di questo concetto a meno di non voler privare il linguaggio di significato. Proprio per questo motivo il relativismo rispetto alla verità è fondamentalmente sbagliato. Solo se stabiliamo un consenso su ciò che conta nel dimostrare che le nostre affermazioni sono vere, conferiamo un significato a tali affermazioni: è proprio questo che ci rende possibile comunicare gli uni con gli altri e contraddirci gli uni con gli altri. A volte la base stessa del consenso è confusa e dobbiamo rivedere i nostri concetti. Ma senza un consenso di principio su ciò che dimostra che una data affermazione è vera, non relativamente ma assolutamente, non potremmo dire proprio nulla che abbia un senso.

Tuttavia è del tutto sensato sostenere che non c'è qualcosa come una verità ultima, ovvero la verità su come la realtà è in se stessa. Nel processo di comprensione del mondo, un bambino deve afferrare la distinzione tra oggettivo e soggettivo. All'inizio prende per oggettivo molto di ciò che è soggettivo. Poi il processo continua nell'età adulta, quando cerchiamo di scoprire come sono le cose in sé invece di come ci appaiono.

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