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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2012 alle ore 15:37.

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Paolo RossiPaolo Rossi

6. È un dato sperimentale e scientificamente acquisito che dopo quaranta minuti di ascolto la capacità di attenzione di un qualunque uditore scende paurosamente. Questa discesa dell'attenzione avviene in ogni caso ed è indipendente dal contenuto di ciò che si ascolta. Quando mancano una decina di minuti alla fine, dì con chiarezza che stai per concludere. Ricordati che questa notizia suona, sempre e in ogni caso, piacevole agli ascoltatori (chiunque parli) e suscita in essi un notevole risveglio dell'attenzione. Nella parte conclusiva (che in genere è la più importante) avrai quindi un uditorio attento e ben disposto. Ma la parte conclusiva (se avrai rispettato il primo e il secondo comandamento) non sarà in nessun caso più lunga di quattro cartelle. Non abbassarti all'odioso, infantile trucchetto di quelli che dicono «Mi avvio alle conclusioni» avendo dieci fitte cartelle ancora da leggere. Loro, come tutti i narcisisti, non si accorgono che tutti (con sicurezza ripeto: tutti) individuano subito l'ignobile trucchetto e non avvertono l'ondata di fastidio-disprezzo che sale verso di loro dal pubblico degli astanti.

7. Approfitta dell'uditorio attento che il rispetto del comandamento numero sei avrà messo a tua disposizione ed enuncia con una certa forza le tue conclusioni.

8. Tieni presente che i dati, le notizie, le tabelle di numeri inseriti in una conferenza sono parzialmente digeribili dal pubblico solo se davvero funzionali a una tesi. Tutti usiamo tutti i giorni bibliografie ed elenchi, ma non siamo affatto disposti ad ascoltarli.

9. Ricordati che, là ove esiste, il microfono ESISTE e che è fatto apposta perché tu ci parli DENTRO. Le civettuole dimostrazioni di insofferenza per il microfono appartengono a repertori degli anni Trenta-Quaranta (l'intellettuale un po' a disagio fra le macchine!) e non vengono giustamente MAI perdonate dal pubblico. La scenetta più patetica è quella del relatore che, quando dice una cosa che gli sembra importante, si propende verso il presidente e si distacca dal microfono. Il presidente lo sente e gli altri restano (si fa per dire) a bocca asciutta.

10. Quando fai una conferenza o una relazione pensa sempre a come TU ascolti le conferenze e le relazioni altrui. Il tuo animo, in questi casi, oscilla quasi sempre fra insofferenza, desiderio che lo spettacolo finisca presto e rari momenti di autentico interesse. Cerca di imbrigliare il tuo narcisismo infantile e ricordati che la reciproca vale sempre: anche quando SEI TU che parli. Non consolarti con i rallegramenti e le congratulazioni del dopo-conferenza. Vengono fatte in ogni caso e a tutti: i tuoi amici vogliono consolarti, i tuoi nemici sono (come sempre e ovviamente) in assoluta malafede. Infine un suggerimento pratico: per sapere come NON fare una conferenza, vanne a sentire una del prof. ... (seguono nome e cognome qui omessi perché ci è stato garantito che nel frattempo il professore citato ha imparato a seguire queste norme, ndr).

Postilla 2006
Moltissimi italiani hanno avuto (il 14 marzo) la grande, inattesa, imprevista soddisfazione di vedere sullo schermo televisivo un cronometro che segnava il tempo al termine del quale il Cavaliere avrebbe smesso di parlare. Quando, rispettando a malincuore una regola concordata, ha effettivamente smesso, in fondo all'animo di quei moltissimi si è fatta strada una sensazione di incredulità. Da destra (e purtroppo anche da sinistra) si è parlato (a proposito del duello televisivo Berlusconi/Prodi) di ingessatura, di freddezza, di regole troppo strette. In giornali che si sono schierati con Prodi una larga fetta dei miei compatrioti identifica infatti creatività ed assenza di regole.

Pensano all'arte e alla poesia come allo straboccare dello spumante da un calice e all'arte come un divino rapimento. Per loro Shakespeare non ha mai scritto un sonetto e, per loro, sono invano vissuti Johannes Sebastian Bach e Dimitrij Ivanovic Mendeleev. Pochi decenni fa in Italia non c'erano le file per i taxi e chi era più robusto e veloce si beccava il suo taxi. Anziani, vecchiette e bambini restavano a becco asciutto. Quella non era un'Italia più creativa, era semplicemente un'Italia più cialtrona. Ma anche allora chi tornava dall'Inghilterra e raccontava delle code (pensate: perfino all'ingresso dei cinema e alle fermate dei bus!) lo faceva esprimendo nel suo racconto meraviglia non disgiunta da una certa dose di compatimento.

Ora abbiamo imparato a fare le code ai posteggi dei taxi, ma siamo ancora un Paese dove solo il sequestro del mezzo ha consentito un parziale rispetto dell'obbligo del casco (a Napoli) e dove distinti professionisti, in sella a un motorino (in tutte le città) infilano a tutta birra un senso vietato e si guardano bene da occuparsi degli stronzi che il loro cane deposita sul marciapiede. Anche in un mondo dove le città "gioielli d'arte" sono strapiene di cicche, cartacce, escrementi di cani, macchine in seconda e terza fila, oltre che di bancarelle, ambulanti, giostre eccetera, chi va a sentire una conferenza ha il sacrosanto, ineliminabile diritto di trovare ciò che è venuto a cercare: un massimo di 45/50 minuti ai quali dedicare la sua (per lui medesimo giustamente molto preziosa) attenzione.

© Nonno di Martino

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