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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2012 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 02 marzo 2012 alle ore 08:20.

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«Ma sei il figlio della signora Arbore?». Un giovanissimo Lucio Dalla mi si avvicinò agli inizi degli anni Sessanta, quando tutte e due eravamo devoti al clarinetto nel solco della tradizione jazz di New Orleans.

Lo guardai e riconobbi un bambinetto, che mi toccava ogni tanto intrattenere, quando da Bologna arrivava a Foggia la modista Ferrari. Lucio era dunque figlio proprio di quella signora Ferrari, che nel dopoguerra arrivava nelle case delle signore pugliesi con una grande valigia e si trascinava dietro un bimbo piccolo, che divenne poi Lucio Dalla.

Quella nostra conoscenza dalle origini così lontane e strane si trasformò in un sodalizio musicale. Io suonavo con la Doctor Dixie jazz band e lui con i Flippers, in cui c'era anche il mio amico Massimo Catalano. Dal jazz Lucio passò alla musica ironica, senza dimenticare però mai il suo background musicale. Ricordo perfettamente un'audizione che un Dalla ancora timidissimo, seppur brillante, fece alla metà degli anni Sessanta alla Rca. Indossava un doppio paio di occhiali da sole e borbottava canzoni originalissime, anomale per il panorama dell'epoca e anche per quello successivo.

Io allora, assieme a Gianni Boncompagni, facevo il disk jockey, eravamo dei pionieri, e cercavo di aiutarlo, mettendo in onda canzoni bellissime come Il cielo, Che cos'è Bonetti, un testo fantastico e molto ironico che prendeva spunto da un suo amico che si chiamava Bonetti. Perché Lucio era un uomo spiritoso con il vezzo di mantenere un maschera buffa, dietro a cui nascondeva una preparazione notevole, fatta di buone letture.

Era una personalità fuori dall'ordinario, con un talento originalissimo che mischiava ispirazioni e generi diversi tra di loro: il jazz, la canzone popolare italiana (4 marzo '43), il reggae (Attenti al lupo), o la canzone napoletana, (Caruso). E non era mai banale. Anche se ce la metteva tutta per non essere commerciale, creava piccoli capolavori e i suoi motivi riscuotevano un grande successo. Per esempio, chi avrebbe mai immaginato che Nuvolari diventasse un disco che trascinava i ragazzini?

Forse la sua canzone a me più cara rimane Ma come fanno i marinai, che nasconde una vena melodica italiana alta, che non è stata capita appieno, e Come è profondo il mare. Amo molto anche Occhi di ragazza, che aveva scritto per Morandi. Erano motivi orecchiabili, popolari, ma non per questo meno nobili.

Le nostre strade si sono incrociate varie volte: abbiamo fatto anche dei duetti con il clarinetto. Spesso lo chiamavo nei programmi televisivi e radiofonici perché Dalla era sempre un arricchimento. L'unico neo, forse, è che nell'ultima parte della sua vita presenziava ovunque venisse invitato, anche in programmi che non gli si addicevano e dove si esibiva in rivisitazioni della sua produzione.

Era anche generoso, un talent scout nella sua Emilia Romagna, che ha prodotto molti fenomeni musicali di rilievo, da Guccini a Caterina Caselli, all'Equipe '84, ai Nomadi. È riuscito a scovare talenti importanti, come Gli Stadio o Luca Carboni, che sono figli suoi.

Eravamo uniti anche dalla passione per la mia terra, la Puglia, che amava come Bologna e la Sicilia. Aveva una casa alle isole Tremiti e gli piaceva esibirsi nell'imitazione del dialetto foggiano. Capitava che ci trovassimo per strimpellate e mangiate. Lucio era un talento non solo compositivo, ma anche un vero musicista e riusciva a suonare con naturalezza uno strumento ostico come il clarinetto, che ha bisogno di costante esercizio, anche se gli era capitato di trascurarlo a lungo.

Più di ogni altra cosa però Lucio era un poeta. I grandi cantautori del Novecento, come Fabrizio De André, Gino Paoli, Lucio Dalla non sono semplici parolieri, ma dei veri poeti che andrebbero studiati a scuola. Lucio con le sue canzoni faceva piccole operazioni di cultura, anche quando sembravano solo canzonette. Sentiremo molto la sua mancanza. E come è accaduto ad altri grandi, come Totò, verrà scoperto e riscoperto tristemente solo dopo la sua morte.

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