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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 08:24.
L'ultima modifica è del 15 marzo 2012 alle ore 08:58.

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Siamo dovuti arrivare a un passo dal baratro per misurare il tempo perduto e le occasioni sprecate, le carenze progettuali, la desolata e desolante assenza di un'idea di società civile. I governi, nessuno escluso e opposizioni incluse, hanno sempre considerato la cultura come optional polveroso, obsoleto e noioso, gestito da intellettuali queruli, vittimisti e fumosi, dotati di scarso senso della realtà, ma afflitti da inspiegabili complessi di superiorità.

Ritratto, beninteso, che ha qualche fondamento, ma come dice un vecchio proverbio piemontese, chi ha più cognizione la usi.
Grazie all'iniziativa del Sole 24 Ore, è la prima volta che tre ministri sottoscrivono congiuntamente un testo che riconosce la centralità della questione, rilanciando su tre punti cardine: investire nella formazione, promuovere inventività e innovazione, programmare interventi organici. Altri interventi di eletti dal popolo (o meglio, dai "caminetti") non risultano. Pare che il tavolo debba limitarsi al lavoro, come se la cultura non fosse, da quella più alta al più modesto gesto artigianale, dal bosone di Higgs all'arte della potatura, lavoro fatto amorevolmente, al meglio delle umane possibilità.

Il valore aggiunto del Manifesto sta proprio nella consapevolezza che ogni intervento non deve rientrare nella limitata competenza di questo o quel ministero, ognuno impegnato a tirare dalla propria parte una coperta troppo corta a danno di altri, ma va pensato come un tutto unico, al pari della gestione dei beni fondamentali, l'aria, l'acqua, la terra, l'energia, la sanità, la giustizia. Una priorità assoluta, perché il futuro discende da lì, dalla capacità di elaborare strumenti migliori di comprensione e di analisi, quelli che poi consentono di operare con cognizione di causa. La vera Tav è una Tac, trasmissione rapida di valori che si chiamano conoscenza, competenza, capacità, creatività, contenuti, condivisione, coesione, comunicazione.

Le energie, le disponibilità, la voglia di fare esistono. Da anni le possiamo osservare benissimo dal vivo nei cinque giorni del Salone del libro di Torino al Lingotto, dove accorre un pubblico competente, selettivo, appassionato, lo stesso che si ritrova a Parigi o a Francoforte. In certi incontri e dibattiti si può cogliere una richiesta forte di politica vera, una passione civile degna d'un Giuramento della Pallacorda. Quello che manca sono i condotti in cui incanalare questa disponibilità molto più diffusa di quello che siamo soliti rappresentarci.

Nel suo intervento sul Sole di domenica 11 marzo Giovanni Puglisi chiede giustamente una cabina di regìa. Quello da costruire è un sistema integrato e traversale, una rete in cui tutto si tiene e interagisce: famiglia (letture ad alta voce ai bambini in età prescolare), scuola (per dire: le grandi letterature straniere no? Si può crescere senza Tolstoj, Shakespeare, Goethe e Flaubert?), università, nuove tecnologie e linguaggi plurimediali, biblioteche, editoria, eventi, musei, valorizzazione del patrimonio artistico, start-up, turismo, infrastrutture, trasporti, comunicazione, ecc. Badando a ricucire vecchie e mai risolte fratture (cultura umanistica vs. scientifica), a ridare ad arte e musica il posto centrale che spetta loro nei processi formativi invece di essere trattate come abbellimenti facoltativi; a restituire dignità al lavoro manuale, tanto più importante quanto più corriamo verso una smaterializzazione e una virtualità che fanno presto a sconfinare nell'insussistenza, nell'evanescenza, nella labilità.

Credo sia giunto il momento di mettersi a pensare cosa e come fare concretamente, di tentare una road map. Rolando Picchioni e chi scrive saranno lieti di mettere a disposizione la Sala Rossa del Lingotto giovedì 10 maggio alle ore 18, per un grande dibattito sulle tematiche del Manifesto della cultura.

Ernesto Ferrero, scrittore, è Direttore editoriale del Salone internazionale del libro di Torino

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