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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2012 alle ore 17:12.

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di Boris Sollazzo

Al penultimo giorno del 69imo festival di Venezia, sembra essere chiara una lezione, secondo molti: alcuni grandi maestri hanno bisogno di una lunga pausa, se non di pensare a una dorata pensione. Dopo Terrence Malick, ormai ostaggio dei suoi virtuosismi sentimentali e visivi, anche Brian De Palma mostra segni di usura, e ancora più inquietanti del collega. Alla prima proiezione per la stampa, infatti, sono stati molti i fischi che hanno accolto la fine di Passion, thriller che ricalca Eva contro Eva per poi virare su quella che appare come una parodia di Hitchcock.

E certo non ci si può ridurre a rintracciare questo cineasta che fu grande in un pugno di esercizi di stile, di inquadrature riuscite, ma neanche troppo. Ti aspetti di vedere un thriller- melodramma classico e allo stesso tempo moderno, ti ritrovi invece in uno di quei rari esperimenti noir dei Vanzina. E c'è da giurare che se fosse stato proiettato al buio questa pellicola- senza, cioè, svelarne il regista: quanto sarebbe bello se di tutti i film si scoprisse l'autore solo alla fine!- qualcuno avrebbe pensato a un quarto titolo italiano in concorso.

Sbaglia tutto Brian De Palma, a partire dal titolo: di Passion, infatti, in quest'opera fredda, ce n'è davvero poca. Forse anche per le due protagoniste: la di solito bravissima Rachel Mc Adams sembra essere convinta che sbarrare gli occhioni o ghignare sotto i baffi basti a sembrar cattiva, mentre Noomi Rapace è assolutamente coerente con la sua carriera americana, incolore e mai in parte. Non parliamo dei comprimari uomini, pessimi nella recitazione e in ruoli totalmente inutili.

E qui veniamo al punto: il problema di Passion risiede quasi totalmente nella sceneggiatura scritta dal regista stesso. Ad analizzarla potrebbe sembrare che il nostro volesse autoparodiarsi o fare il suo personale Scary Movie. Soprattutto nel finale matrioska in cui il colpo di scena finale, pur molto acrobatico, si intuisce nel momento stesso del delitto, demolendo la tensione e la sorpresa che il regista vorrebbe creare. Così si arriva all'estremo (e allo stremo, per lo spettatore), con una Rapace che oltre ai suoi notevoli limiti di attrice deve far fronte pure a uno script che porta al parossismo ogni stilema del genere. Come se non bastasse, poi, la misoginia che pervade il film è più che puerile e la fotografia risulta scolastica, patinata, plastificata. Persino il product placement risulta spudorato e grossolano.

Davvero un'enorme delusione Passion ma, visti gli ultimi anni di carriera del cineasta non bisogna stupirsi troppo.

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