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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2012 alle ore 08:31.

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L'uccisione dell'ambasciatore in Libia Christopher Stevens e di altri tre americani nel corso di un assalto al consolato Usa di Bengasi da parte di una folla inferocita, l'11 settembre, ha richiamato l'attenzione del mondo sui problemi della Libia del dopo Gheddafi. I disordini hanno evidenziato la forza delle milizie islamiche radicali e l'incapacità del governo di Tripoli di garantire la sicurezza e l'ordine. Illegalità e corruzione sono onnipresenti e rimangono senza risposta interrogativi fondamentali sulla struttura e la conduzione delle istituzioni politiche ed economiche. Ma tutto questo non deve oscurare il fatto che il quadro generale della nuova Libia è sorprendentemente positivo.

Un anno e mezzo fa sembrava che la Libia sarebbe stata la tomba della Primavera araba. Dopo le rivolte popolari che avevano portato alla cacciata pacifica dei dittatori nei due Paesi confinanti, Tunisia ed Egitto, la rivoluzione libica si era trasformata in una lunga e sanguinosa guerra civile. Anche dopo che i ribelli, con l'aiuto dell'Occidente, erano riusciti a rovesciare il regime di Muammar Gheddafi, nell'agosto 2011, rimanevano molti ostacoli da superare. I libici avevano un sentimento di identità nazionale molto aleatorio e nessuna esperienza con la democrazia. Il Paese era guidato da un governo di transizione che non aveva il monopolio dell'uso della forza. Per costruire uno Stato funzionale, la Libia doveva superare l'eredità di oltre quarant'anni di dittatura in cui il regime aveva impedito lo sviluppo di autentiche istituzioni nazionali.

Eppure, contro tutte le aspettative, in questo momento la Libia è uno dei Paesi che è uscito meglio dalle rivolte che hanno sconvolto il mondo arabo negli ultimi due anni. Il 7 luglio, la Libia ha tenuto le sue prime elezioni dal momento della caduta di Gheddafi, con i cittadini che si sono recati alle urne senza incidenti per eleggere i 200 membri del nuovo Congresso generale nazionale. Un mese dopo, il Consiglio nazionale di transizione (Cnt), guida politica dell'opposizione fin dai primi giorni della guerra civile, ha trasferito i poteri al Congresso. Una commissione si occuperà ora di elaborare una proposta di Costituzione, che sarà sottoposta all'approvazione del popolo mediante referendum. Tutti questi sviluppi sono avvenuti nel rispetto del programma delineato dal Cnt quando ancora si combatteva.

Qual è la ragione del relativo successo dell'esperienza libica? Molti esperti ritenevano che la mancanza di istituzioni sviluppate rappresentasse un grave handicap per il suo futuro come democrazia, ma quanto successo nell'anno trascorso sembra indicare che il fatto di essere costretti a costruire uno Stato funzionante partendo da zero abbia rappresentato un vantaggio. A differenza della Tunisia e dell'Egitto, dove istituzioni radicate come le forze armate e gli apparati burocratici hanno mostrato una forte resistenza alle riforme, i nuovi leader di Tripoli non hanno avuto il problema di dover smantellare gli imponenti resti istituzionali dell'Ancien Régime.

I recenti risultati positivi ottenuti dalla Libia sono soltanto l'inizio della ricostruzione di un Paese lacerato dalla guerra, ricostruzione che promette di essere lunga e difficile. Ma se si vogliono prendere a indicazione le elezioni di luglio, bisogna concluderne che la maggioranza dei libici è determinata a costruire una comunità politica che rispetti le divergenze di opinione e risolva le controversie attraverso processi democratici.
Dopo la caduta di Gheddafi, erano in pochi a prevedere che la Libia sarebbe emersa come un esempio di successo. La monarchia libica, che governò dal 1951 al 1969, fece poco per mettere fine alla diffidenza reciproca che divide Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, le tre province storiche. Il re Idris non riuscì a creare istituzioni nazionali che andassero oltre il funzionamento più elementare di uno Stato moderno, mentre l'ingombrante ricchezza petrolifera assumeva un ruolo centrale nella vita economica e politica del Paese.

Quando Gheddafi spodestò il sovrano, nel 1969, svuotò di significato le poche istituzioni che la monarchia era riuscita a creare.
Durante la recente guerra civile, eventi come l'omicidio, nel luglio 2011, di uno dei più importanti comandanti militari dei ribelli, Abdul Fattah Younes, da parte di una milizia antigheddafiana, e il caos che si era instaurato tra le file dell'opposizione dopo questo omicidio lasciavano pensare che il Cnt non sarebbe riuscito a ricucire le spaccature storiche. Anche dopo la vittoria dei ribelli, decine di milizie potenti contendevano al governo di transizione il controllo effettivo del territorio. Il pessimismo sul futuro era talmente diffuso che una serie di mezzi di informazione internazionali e locali, fra cui il Libya Herald, maggiore quotidiano in lingua inglese del Paese, ripetevano che la Libia sarebbe diventata il prossimo failed state, devastata da rivalità tribali e regionali e corrosa dai soldi del petrolio e dalla stessa politica del divide et impera che aveva tenuto saldamente in piedi il precedente regime per oltre quarant'anni.

Non solo aspetti negativi
La Libia non è implosa, ma illegalità e corruzione – come dimostra l'omicidio di Stevens – persistono. I thuwar (rivoluzionari) continuano a esercitare la legge per conto proprio: uomini appartenenti a milizie incontrollate torturano e seviziano detenuti catturati durante la guerra civile; le città sono ancora infestate dalla criminalità e da racket della protezione di tipo mafioso; nella parte meridionale del Paese le tribù libiche locali combattono con gruppi di etnia Tebu per il controllo del redditizio contrabbando oltreconfine; e la cosa allarmante è che una buona parte delle merci contrabbandate sono armi saccheggiate dagli arsenali di Gheddafi.

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