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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2012 alle ore 07:56.

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Illustrazione di Giacomo GambineriIllustrazione di Giacomo Gambineri

E poi quanto è rimasto fuori casa?
Qualche giorno, alcuni giorni... ma poi siccome nei centri molto piccoli tutti quanti si conoscono da sempre, lì poi ci sono degli accomodamenti. Uno viene arrestato anche forse per intimidirlo.

E questo quindi tra persone che si conoscevano già prima?
Sì, appunto, per un ragazzino molto giovane... Io poi avevo a scuola, nel primo ginnasio, quindi nel quaranta, quarantuno, come insegnante una delle figlie del preside Provenzal, ebreo... queste figlie erano cattoliche come la madre e andavano anche in chiesa in maniera piuttosto visibile e lui, Dino Provenzal, a un certo punto, succedeva ad alcuni ebrei che abitavano a Voghera e nei dintorni, si diceva «È in Svizzera, è riuscito a espatriare», ma poi era vero o era invece in una camera lì nascosta della villa... in cantina, torretta? Che poi a Voghera non c'è mai stato un ghetto ebraico, però c'erano degli ebrei di posizione: il preside del ginnasio, oppure c'erano degli avvocati, dei commercianti. C'era per esempio, in campagna vicino a noi, era nascosto il professore Della Seta, non solo ebreo come dice il nome, ma era un personaggio molto famoso ai suoi tempi perché aveva diretto la scuola archeologica italiana ad Atene, Alessandro Della Seta, c'è anche sulla Treccani. Siccome aveva sposato una sorella della sciura Marina, che era una signora proprietaria di terreni, allora si era rifugiato lì, ma siccome era scappato con gli abiti che aveva addosso, che erano abiti elegantissimi da città con dei paltoncini blu come usavano, però ogni tanto usciva, verso sera, per fare una passeggiata: ma non aveva né le scarpe né gli indumenti adatti per le vigne fangose dove eravamo sfollati... Lui poi morì lì, prima che finisse la guerra morì lì.

Voi eravate sfollati.
Vicino Casteggio, tra Voghera e Casteggio. Perché si usava che allora tutti i cittadini di un certo rilievo avevano lo studio professionale oppure nel caso di mio padre la farmacia a Voghera e poi c'era, a poca distanza, la casa di campagna dove si passava tutte le estati, perché si stava al mare o in montagna per un mese ma poi, l'estate essendo lunga, prima di cominciare le scuole si stava nelle case in campagna e c'eran tante di queste case di campagna perché era un'usanza...

A voi cosa venne requisito?
A noi niente, perché non avevamo castelli o ville.

Ha iniziato a scrivere già durante la guerra?
No, dopo la guerra. Le piccole vacanze, sono uscite nel cinquantasette, Calvino l'ha pubblicato, è stato il mio primo libro. Però erano racconti scritti da un anno o due circa. Prima avevo scritto un po' di poesie che sono quelle poi raccolte in Matinée... In verità è successo che volevo, ormai stufo da anni e anni di neorealismo postbellico, esemplato sulle brutte traduzioni degli americani, tutti quei "disse"... allora io nelle Piccole Vacanze, nel primo racconto, si dice che adagio adagio era finita la guerra, e questo adagio adagio è finita la guerra dice proprio il contrario perché non era adagio adagio: era morte, fame… Perché facendo finta di parlare di vacanze, di estati, in realtà si decretava la fine del neorealismo ed è per quello che a molti non è piaciuto quel libro, perché non era engagé, non c'erano i partigiani, non c'erano le SS, e non c'era "Bella ciao", insomma...

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