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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2013 alle ore 08:25.
L'ultima modifica è del 29 dicembre 2013 alle ore 15:11.

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Pranziamo leggero ordinando le stesse cose in un caffè letterario fra milanesi bene, fuori piove sul parco Don Giussani.

Prima di parlare dell'inizio della sua carriera ha raccontato dei mesi a Londra dopo aver lasciato il Dams, a fare la commessa in un negozio, a imparare l'inglese, a copiare gli abiti anni Quaranta di Kim, la sua collega in negozio, già vintage a metà anni Ottanta, con i fidanzati «di colore, anche loro vestiti tutti elegantissimi... Kim si metteva il rossetto e le scarpe basse con la punta», e ascoltava i Black Uhuru...

BIGNARDI
A ventitré anni ero tornata a Ferrara da Londra perché mio padre stava morendo. Sai, ero in quell'età in cui non sai bene che cosa farai, hai delle priorità proprio fisiche, una delle mie era la ribellione alla famiglia... L'hai letto Non vi lascerò orfani: io avevo dei bravissimi e carissimi genitori che erano degli anziani missini, molto anziani e molto missini, onestissimi, persone meravigliose appunto per onestà, affetto... ma molto anziani: mio padre mi ha avuta che aveva quasi cinquant'anni, e poi erano gli anni Ottanta e io non potevo certo immaginare di rimanere a lungo in famiglia perché loro erano molto tradizionali come valori, come regole... Che poi penso sia così anche per i ventenni di oggi, magari fanno una vita un pochino più comoda quindi ci pensano quattro volte prima di mollare tutto e andarsene. Io non facevo una vita particolarmente comoda... Come hai letto, i miei avevano avuto un tracollo finanziario durante la guerra, quindi erano proprio scesi di tre gradini nella scala sociale, da figli di genitori laureati, mio nonno era direttore di banca, l'altro era veterinario, i miei facevano la maestra e il rappresentante, quindi era una vita molto semplice...


INTERVISTATORE
E quando sei andata a Milano come hai trovato lavoro?
BIGNARDI
Allora c'era un sacco di lavoro... Sul Resto del Carlino, al venerdì, c'erano le offerte di lavoro e nelle offerte di lavoro c'erano anche i bandi di concorso e vedo tra questi bandi un concorso con una borsa di studio per diventare account executive. Non sapevo neanche cosa fosse, però fresca di inglese – lo avevo imparato molto bene – mi presento a questo concorso a Reggio Emilia, c'erano 25 posti, e arrivo nona... e ho fatto questa borsa di studio a Reggio Emilia, che prevedeva sei mesi di corso e uno stage in un'agenzia di Milano, quindi dopo il corso ho fatto lo stage a Milano... Appena arrivata a Milano mi faceva schifo l'agenzia... Era il 1983-84, mi faceva schifo l'agenzia dove mi avevano messo, ho preparato dieci curriculum piuttosto brillanti, li ho mandati alle dieci più grandi agenzie...


INTERVISTATORE
Brillanti nel senso di inventati?
BIGNARDI
Ma nel senso di smart... Mi hanno risposto tutte, per dirti come erano diversi i tempi, le dieci maggiori agenzie... Ho fatto i colloqui da tutte e mi hanno assunta immediatamente con un contratto a tempo indeterminato alla Tbwa, un'agenzia internazionale. Allora la pubblicità era il lavoro da fare, giravano un sacco di soldi... Ho lasciato per diventare giornalista. Il praticantato l'ho fatto a Chorus, che era un mensile di Leonardo Mondadori (1), erano gli anni Ottanta a Milano, era proprio un'altra vita: io sono entrata facendo la photo editor, non capivo nulla di fotografia, la detestavo. Mi ero presentata e avevo convinto Giordano Bruno Guerri, che era il direttore, ad assumermi perché io ero bravissima, sapevo tutto di fotografia – e non era assolutamente vero. Però volevo entrare in un giornale e l'ho convinto che ero la persona giusta. Ronzavo attorno allo scrivere da sempre, da quando avevo, penso, quattro anni e mezzo. Però ti ho spiegato il tipo di famiglia, a quei tempi non esisteva dire «faccio lo scrittore da grande». Gli scrittori erano Calvino, Moravia, non potevi pensare di diventare proprio tu il nuovo Calvino e nemmeno Elsa Morante: non era una possibilità plausibile... quindi ho sempre pensato che avrei fatto l'insegnante di lettere come mia madre e mia sorella... E poi però, la cosa che ti dicevo prima, l'urgenza dell'indipendenza economica, mi ha fatto cercare lavoro... A quel punto, arrivata a Milano, ormai la professoressa non la facevo più, ho pensato a qual era la cosa che mi avrebbe fatto scrivere e leggere, e ho pensato di provare a entrare in un giornale... Quindi, avendo questa competenza che mi veniva dai quattro anni in pubblicità, sono andata da Guerri e l'ho convinto...


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