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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2013 alle ore 08:25.
L'ultima modifica è del 29 dicembre 2013 alle ore 15:11.

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INTERVISTATORE
Mentre la tua inquadratura chi l'ha pensata?
BIGNARDI
È del regista, col carrello, è fatta molto lentamente...


INTERVISTATORE
E tu che fai la furba...
BIGNARDI
Io non faccio la furba, io sto normale, sono anti televisiva, sto gobba... però sai, sto seduta.


INTERVISTATORE
Quali sono le caratteristiche stilistiche che definiscono Le invasioni barbariche?
BIGNARDI
Allora, sono sempre in diretta e quindi succede sempre qualcosa. È tutto molto artigianale, reale. I primi anni non vedevo mai gli intervistati finché non arrivavano, poi essendo in diretta, il secondo, il terzo, il quarto, non li vedevo fino al momento in cui entravano...


INTERVISTATORE
Quindi secondo te si crea un'intimità là davanti, così?
BIGNARDI
Be', sì, si crea qualcosa, nel bene o nel male: può essere simpatia, può essere antipatia, può essere curiosità...


INTERVISTATORE
Ma quindi c'è gente famosa, che tu conosci da anni, che hai visto solo in quel momento...
BIGNARDI
Ma io non reputo di conoscerli, tu questo lo dici perché non lavori in tv: questo è il mio mestiere, non è che se io ho intervistato Raoul Bova conosco Raoul Bova. In quel momento io non sono io, sto facendo un mestiere dove c'è qualcosa che io so fare, mentre l'incontro è un'altra cosa, in un incontro tu sei indifeso, non hai le strutture, non hai le difese.


INTERVISTATORE
Quindi lì non c'è nessuna intimità?
BIGNARDI
Ma no, sei in diretta, in televisione, io sto lavorando, ho la responsabilità di quello che sta succedendo, devo proteggere te, non fare errori, fare una cosa divertente, fare una cosa informata, parlare delle cose di cui la gente è curiosa, ti pare che ho il tempo e la voglia di cazzeggiare? (ride, nda).


INTERVISTATORE
E ti distrai mai dalle risposte? Ti è capitato?
BIGNARDI
Se sono molto noiose sì...


INTERVISTATORE
E come fai a rientrarci dentro?
BIGNARDI
Sorrido molto. Quando tu mi vedi sorridere molto, ridere molto, vuol dire che dentro di me sto pensando a come uscirne...


INTERVISTATORE
Il tuo primo libro è del 2009 ed è un memoir. Perché hai iniziato a scrivere solo dopo la morte di tua madre?
BIGNARDI
Tu sai bene che in Italia chiunque passi per la tv o per la radio ha la chance di scrivere un libro. Proprio per questo io pensavo che non l'avrei mai fatto: perché lo trovavo poco elegante. Avendo un fanatismo letterario – scrivo di libri e scrittori da venticinque anni, perché è la primissima cosa che ho cominciato a fare quando collaboravo con Panorama – e, conoscendo molto bene tutto il mondo dell'editoria, trovavo poco elegante che io, personaggio televisivo, pubblicassi.


INTERVISTATORE
Scrivevi per conto tuo anche senza pubblicare?
BIGNARDI
Te l'ho detto, io guardo il mondo da narratore da quando avevo cinque anni, e sono grafomane, quindi ho sempre scritto. Il primo romanzo l'ho scritto a otto anni, si intitolava Illusioni perdute. Era ambientato a Londra, il protagonista si chiamava Roberto. Il primo libro l'ho scritto perché non potevo farne a meno: la morte di mia madre, con la quale ho litigato per tutta la vita, e che ho amato in un modo conflittuale e tempestoso, profondo, viscerale, come le figlie amano le madri, è stato un trauma nonostante la mamma fosse anziana, e questo trauma ha fatto sì che io non potessi fare a meno di raccontare la storia di Non vi lascerò orfani. In realtà anche quello è nato per caso, come un po' tutto. Il direttore di Vanity Fair, quando ha saputo che mia madre era morta, mi ha chiesto con molta grazia e cautela: «Ti andrebbe di scrivere un pezzo sul dolore dell'orfano adulto? Perché è un tema che non tratta mai nessuno». Io ero nel momento dell'esaltazione, del dolore – come quando si è innamorati: quando sei fresco di lutto non pensi a nient'altro, è il tuo pensiero fisso – e dissi di sì. Non l'avrei fatto dopo sei mesi, l'avrei trovato impudico. Però beccata nel momento del dolore caldo ho detto va bene. Ho scritto l'articolo ed è successo qualcosa, perché hanno scritto moltissimi, tra i quali una persona sul blog, che ha scritto tre parole: «Scrivi un libro». Ancora non ero convinta di pubblicarlo, l'ho fatto vedere ad Antonio Franchini (12), che non conoscevo se non come austero e severo editor, e lui mi ha detto: «Vai avanti, tira fuori tutto», e così è nato Non vi lascerò orfani, che è stato un libro fortunatissimo, perché… Insomma, Goffredo Fofi ha scritto: «È nata una scrittrice». Allora, con il mio peccato originale, la mia lettera scarlatta della tv… Scrivo un primo libro autobiografico, un memoir, e succede che viene molto amato dai lettori e persino dai critici tra i quali Goffredo Fofi, il più esigente: a quel punto non ho più smesso di fare la cosa che comunque avevo dentro da sempre ma che mi ero un po' inibita. Da forte lettrice sono abituata a standard alti: io tuttora quando leggo Elizabeth Strout (13) mi dico: «Ma che cosa scrivo a fare?».


INTERVISTATORE
Smetteresti di fare la televisione per scrivere e basta?
BIGNARDI
L'ho fatto. Perché io fino a che non scrivevo facevo solo la televisione, stavo in onda tutto l'anno. Da sei anni ho chiesto di essere in onda soltanto tre mesi l'anno, quindi un terzo di prima. È difficile da gestire: quando hai dei contratti, è difficile mantenere questo piccolo spazio di tre mesi l'anno. È un'anomalia, è un privilegio, e naturalmente guadagno un terzo di prima, ma non posso fare altrimenti: se non avessi nove mesi l'anno non potrei scrivere.

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